“I miei sono romanzi, non gialli La Storia inizia con gli enigmi”
L’INTERVISTA/1 È lo pseudonimo, preso da Musil, dello scrittore Bon che ha riportato in vita Nero Wolfe, apolide di nascita montenegrina
HHans Tuzzi, pseudonimo di Adriano Bon, è nato a Milano nel 1952: ha scritto una serie di romanzi gialli ambientati nella capitale lombarda con protagonista il commissario Norberto Melis (l’ultimo è “La belva nel labirinto”, Bollati Boringhieri), e una serie di gialli storici con protagonista Neron Vukcic (“Al vento dell’Oceano”, Bollati Boringhieri) ans Tuzzi è lo pseudonimo di Adriano Bon e scrive gialli che non sono fiction ma letteratura. Tuzzi-Bon, scrittore e saggista, vanta due serie. La saga milanese del commissario Melis e quella più recente di Neron Vukcic alias Nero Wolfe.
Neron Vukcic è un apolide, di nascita montenegrina, che rimpiange l’Impero austro- ungarico. Per questo va in nave negli Stati Uniti, impero del XX secolo?
In realtà rimpiange le società sovranazionali e detesta il nazionalismo delle piccole patrie. Per questo si illude di trovare negli Usa una società multietnica integrata.
È il 1926 e oggi fioccano i paragoni “centenari”: il secolo breve non era passato? Credo che mai come in questi anni le élite dell’intero Occidente siano impari al compito: solo nella prima metà del Novecento abbiamo avuto una classe dirigente così inadeguata.
Al vento dell’Oceano è la terza inchiesta di Vukcic. Ora che ha scoperto l’America diventerà Nero Wolfe. Tutto finito?
L’identità fra i due non è scontata: vi sono anche molte dissimiglianze (una giocosa sfida per i wolfiani doc). Però, sì, quel che volevo dire l’ho detto.
I suoi gialli colti e raffinati incutono soggezione. Nell’era dello psico-thriller con ragazze e fidanzate bugiarde è una scelta voluta? Certo: la buona letteratura si fonda sulla reticenza e non fa sconti. Non è per questo che rileggiamo i classici? Perché, ogni volta, proprio grazie alla reticenza e all’ambiguità, ci parlano con voce nuova. I libri che dicono tutto e non si fanno rileggere sono poveri libri.
L’altro suo personaggio è Melis, nella Milano che si prepara a bere il craxismo. Chi dei due preferisce? Sono due personaggi e due società molto differenti fra loro. Vukcic mi porta a stare lontano dall’Italia, cosa che in sé non fa certo male. Ma poiché l’Italia resta il mio Paese, Melis mi permette di parlarne con sarcasmo e affetto (perché, in fondo, noi italiani siam meno peggio di come ci descriviamo).
Durante la crociera viene ucciso un senatore americano di destra pronto per le primarie: pensava a Tr u m p?
Le mail parlano chiaro: consegnai il romanzo all’editore prima che Trump occupasse le cronache. Ma lui rappresenta molto bene una certa America. In fondo, si pensi che, per non urtare l’e lett ora to bianco, Roosevelt non incontrò Jesse Owens né si congratulò con lui.
Oggi il populismo riassume tutto.
Preferisco il termine demagogia, cioè l’arte di parlare alla pancia suscitando aspettative o timori irrazionali. Perché la Storia non insegna nulla a chi non ha memoria. Come spiegare, altrimenti, il ritorno dei più biechi nazionalismi? Purtroppo, come diceva Montaigne, gli uomini impazziscono d’improv viso tutti insieme, e rinsaviscono lentamente uno per uno. Se poi c’è chi butta benzina sul fuoco...
Il giallista Tuzzi è uno pseudonimo preso da Musil, letteratura classica, e fa dire a uno dei suoi personaggi che la modernità comincia con gli enigmi. È Sofocle.
Il mito parla per enigmi del mondo nascosto, il mondo degli dèi: con Edipo che solve gli enigmi della Sfinge la storia dell’uomo si fa razionale. Però il solutore di enigmi non saprà sciogliere quelli che lo riguardano, e ne verrà travolto. Ma Edipo re non è un giallo, proprio come non lo è Delitto e castigo. Parlerei di letteratura di genere e no: quest’ultima, è ovvio, lega meno le mani, ma chi sa forzare debitamente la gabbia del genere può regalare un capolavoro. Jane Austen scrive romanzi che sono anche d’amore, ma non è Barbara Cartland. Nel giallo, La promessa e Qualcuno alla porta s on o due grandi romanzi, senza etichetta di genere. E io, come sa, non ho scritto soltanto romanzi gialli.
I suoi libri sono una guida per vini e pietanze: l’investigatore gourmet è l’antitesi del detective ubriacone e che mangia male.
Ci sono anche accurate descrizioni di abiti o accessori, perché se l’uomo è ciò che mangia è anche come si veste: molti particolari del carattere di ognuno di noi possono rivelarsi attraverso questi dettagli. Poi, certo, il cibo è un segno di educazione e di civiltà.
Dice Vukcic che essere apolide, se non gitano, in tempi di nazionalismo è romantico. Non è troppo snob? Proprio come è snob il personaggio. Proprio come romantico è il suo autore. In famiglia l’italianità era maggioranza relativa, c’era un bel melting pot, e questo forse spiega certe mie insofferenze. Il mio ideale sarebbe una tribù nomade del deserto: sarei un cammello felice.
Nel libro c’è anche l’omofobia: un altro assillo della contemporaneità. L’umanità è da sempre contraria a chi è diverso, siano i biondi in Giappone, gli atei in Yemen o le suffragette in Inghilterra. Ci sono brevi momenti di tolleranza ma costituiscono eccezioni. Ricordo che quando mi intervistavano su Vanagloria, per molti il punto dolente erano gli otto amici serenamente omosessuali.
Lei, infine, sbeffeggia luoghi comuni e modi di dire. Quelli che detesta di più?
Il politicamente corretto (io sono zoppo, non diversamente abile nel ballare la salsa) e la tendenza a generalizzare.
Chi è Forzare il genere può dare un capolavoro I romanzi di Jane Austen sono anche d’amore, ma non è Barbara Cartland