Spasimi di letteratura, vedi alla voce Manganelli
Potremmo chiamarlo il fattore T come Teche: le cosiddette repliche suonano più originali delle proposte fior di conio; vale per la Tv, per il cinema intasato di sequel e vale soprattutto per la letteratura, dove le riedizioni ci redimono dalla valanga delle novità. Cerchiamo di spiegarci meglio: un libro come Discorso
dell’ombra e dello stemma di Giorgio Manganelli (1982) oggi non si potrebbe più nemmeno immaginare; si può al massimo ripubblicarlo come ha fatto la casa editrice Adelphi (grazie, gra- zie). Tale “bastardo disossato” è la più irregolare delle opere del più grande degli irregolari. “Discorso” perché - pur scritto fino allo spasimo - lo si immagina declamato da unfool, ossia da un buffone demente, a un pubblico ancor più demente, quello dei lettori. Il tema non può che essere la letteratura stessa; come demenza e come menzogna, come ombra e come stemma, la doppia identità delle parole: “Notate: un lato della parola è rovente, un lato della parola è diaccio; dunque non si possono toccare; eppure si debbono toccare.” La letteratura non supererà mai il test di ammissione alla Bocconi, non ha i soldi per pagare la scuola Holden (soldi che andrebbero comunque sprecati), dunque non se ne sente quasi più parlare, messa in condizione di non nuocere dallo storytelling, l’ubiquo impostore. Ma chi volesse serbarne l’eco, legga Manganelli. Anzi, lo ascolti: “La letteratura è inutile. La letteratura è indispensabile. Si può vivere senza letteratura, purché si sia già morti.”