Quei liberisti che difendono le rendite
▶I LIBERISTI
all’italiana sono ideologici ma imprevedibili, soprattutto quelli dell’Istituto Bruno Leoni. Difendono mercato e concorrenza, detestano i monopolisti, ma si oppongono alla web tax voluta dal senatore Pd Massimo Mucchetti e appena approvata in Senato. All’osservatore malizioso non può sfuggire che, come si legge sul loro sito, Google ha appena finanziato una borsa di ricerca presso l’Istituto Bruno Leoni. Ma sarebbe forse troppo cinico ipotizzare un bieco mercimonio, editoriali e analisi in cambio di fondi (anche se è così che lavorano i think tank in tutto il mondo).
Per il Bruno Leoni, la web tax “è un tentativo confuso e pasticciato di estrarre più gettito (poco: si parla di un centinaio di milioni di euro a partire dal 2019) colpendo le transazioni su Internet. Cioè, per chiamare le cose col loro nome: di tassare chi compra e chi vende servizi attraverso la Rete”. Come ha ricostruito Mucchetti sul Sole 24 Ore, l’emendamento alla manovra è frutto di lunghi compromessi e diverso dall’impianto originario. Ma fissa un principio: il modo di tassare gli operatori Ott ( over the top, i giganti del web) si deve e si può trovare anche se in modo un po’drastico come è stato fatto, stabilendo un prelievo del 6% sul fatturato anziché sugli utili. Alcune delle contestazioni liberiste sono in parte fondate: visto che si chiede alle banche di agire come sostituto di imposta per le imprese non residenti in Italia, i costi di questo servizio potrebbero finire sui clienti (ma le banche già aumentano le commissioni ingiustificate senza bisogno di incentivi). E se l’Italia agisce da sola senza un coordinamento europeo potrebbe spingere gli investimenti altrove. Altri argomenti sono risibili, come per esempio che la tassazione sulla vendita di servizi online renderebbe inutili gli incentivi di Industria 4.0 o che la tassa equivale a un dazio. Per i liberisti all’italiana vale il principio che l’unica tassa buona è la tassa cancellata, soprattutto se colpisce i loro finanziatori. Tanto il welfare, la scuola e la sanità pubblica sono soltanto declinazioni dello spreco.