Una Nobel e un Papa: dribbling ai Rohingya
Birmania Bergoglio incontra la ex pasionaria anti-regime ma parla solo di difesa delle etnie
La
parola ‘ Roh ingya ’ in Myanmar, l’ex Birmania, non esiste. Non è stata pronunciata lunedì, nel primo giorno di visita di Papa Francesco nel Paese, e nemmeno ieri, in occasione del suo primo discorso ufficiale davanti le autorità.
SULLE VIOLENZE subìte dalla minoranza musulmana del Paese, non riconosciuta ufficialmente e costretta alla fuga verso il Bangladesh, c’è solo un discorso generico: “Il futuro del Myanmar dev’essere la pace - ha detto il Pontefice nel suo discorso ufficiale davanti alle autorità del Paese - una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e a ogni gruppo - nessuno escluso - di offrire il suo legittimo contributo al bene comune”. Il popolo birmano per il Papa “ha molto sofferto e tuttora soffre”, per i conflitti interni e le ostilità “durati troppo a lungo” e che hanno creato “profonde divisioni”. E apprezza gli “sforzi del Governo nell’affrontare questa sfida”. Bergoglio ricorda anche la Conferenza di Pace di Panglong, che riunisce i rappresentanti dei vari gruppi per cercare di porre fine alla violenza: “L’arduo processo di costruzione della pace e della riconciliazione nazionale può avanzare solo attraverso l’impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani”.
Tra le autorità, sul palco, c’è Aung San Suu Kyi, il premio Nobel per la pace, consigliera di Stato (ma di fatto presidente) e ministro degli Esteri, accusata dalla comunità internazionale di ignorare la brutale repressione dei Rohingya. L’incontro più atteso era proprio tra i due: si è svolto a porte chiuse, per una ventina di minuti, poco prima del discorso ufficiale.
E i Rohingya non vengono nominati direttamente nemmeno nel discorso di Aung San Suu Kyi, considerati “bengalesi” irregolari, ma affronta la questione parlando dello Stato di Rakhine, regione del Myanmar dalla quale sono stati espulsi: “Tra le tante sfide che il nostro governo ha dovuto affrontare - afferma - la situazione nel Rakhine ha catturato l’attenzione del mondo”.
Nel palazzo presidenziale della capitale, Bergoglio ha reso visita anche al presi- dente del Myanmar, Htin Kyaw, donandogli un manoscritto con le illustrazioni della vita del Buddha, proveniente direttamente dalla Biblioteca vaticana. Kyaw, molto vicino alla leader Aung San Suu Kyi, è diventato presidente perché a lei la costituzione lo impediva, in quanto vedova di un non birmano.
E il Papa ieri a Yangon ha incontrato in privato anche 17 leader religiosi: buddisti, islamici, ebrei, hindu, cristiani battisti e cattolici.
DEI ROHINGYA si occupa invece la Commissione Onu per l’eliminazione della discriminazione contro le donne, che ha chiesto alla Birmania di fornire “un dossier eccezionale”, entro sei mesi, sulle violenze sessuali e gli stupri nei confronti delle donne e bambine della minoranza musulmana nello Stato di Rakhine da parte delle forze di sicurezza del Paese.
Si tratta della quarta richiesta degli esperti Onu dal 1982: al governo birmano si chiede di fornire informazioni dettagliate sulla re- pressione dell’esercito dalla fine di agosto scorso, la stessa repressione che ha spinto alla fuga in Bangladesh oltre 600 mila persone.