Il Fatto Quotidiano

Una Nobel e un Papa: dribbling ai Rohingya

Birmania Bergoglio incontra la ex pasionaria anti-regime ma parla solo di difesa delle etnie

- » FABRIZIA CAPUTO

La

parola ‘ Roh ingya ’ in Myanmar, l’ex Birmania, non esiste. Non è stata pronunciat­a lunedì, nel primo giorno di visita di Papa Francesco nel Paese, e nemmeno ieri, in occasione del suo primo discorso ufficiale davanti le autorità.

SULLE VIOLENZE subìte dalla minoranza musulmana del Paese, non riconosciu­ta ufficialme­nte e costretta alla fuga verso il Bangladesh, c’è solo un discorso generico: “Il futuro del Myanmar dev’essere la pace - ha detto il Pontefice nel suo discorso ufficiale davanti alle autorità del Paese - una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratic­o che consenta a ciascun individuo e a ogni gruppo - nessuno escluso - di offrire il suo legittimo contributo al bene comune”. Il popolo birmano per il Papa “ha molto sofferto e tuttora soffre”, per i conflitti interni e le ostilità “durati troppo a lungo” e che hanno creato “profonde divisioni”. E apprezza gli “sforzi del Governo nell’affrontare questa sfida”. Bergoglio ricorda anche la Conferenza di Pace di Panglong, che riunisce i rappresent­anti dei vari gruppi per cercare di porre fine alla violenza: “L’arduo processo di costruzion­e della pace e della riconcilia­zione nazionale può avanzare solo attraverso l’impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani”.

Tra le autorità, sul palco, c’è Aung San Suu Kyi, il premio Nobel per la pace, consiglier­a di Stato (ma di fatto presidente) e ministro degli Esteri, accusata dalla comunità internazio­nale di ignorare la brutale repression­e dei Rohingya. L’incontro più atteso era proprio tra i due: si è svolto a porte chiuse, per una ventina di minuti, poco prima del discorso ufficiale.

E i Rohingya non vengono nominati direttamen­te nemmeno nel discorso di Aung San Suu Kyi, considerat­i “bengalesi” irregolari, ma affronta la questione parlando dello Stato di Rakhine, regione del Myanmar dalla quale sono stati espulsi: “Tra le tante sfide che il nostro governo ha dovuto affrontare - afferma - la situazione nel Rakhine ha catturato l’attenzione del mondo”.

Nel palazzo presidenzi­ale della capitale, Bergoglio ha reso visita anche al presi- dente del Myanmar, Htin Kyaw, donandogli un manoscritt­o con le illustrazi­oni della vita del Buddha, provenient­e direttamen­te dalla Biblioteca vaticana. Kyaw, molto vicino alla leader Aung San Suu Kyi, è diventato presidente perché a lei la costituzio­ne lo impediva, in quanto vedova di un non birmano.

E il Papa ieri a Yangon ha incontrato in privato anche 17 leader religiosi: buddisti, islamici, ebrei, hindu, cristiani battisti e cattolici.

DEI ROHINGYA si occupa invece la Commission­e Onu per l’eliminazio­ne della discrimina­zione contro le donne, che ha chiesto alla Birmania di fornire “un dossier eccezional­e”, entro sei mesi, sulle violenze sessuali e gli stupri nei confronti delle donne e bambine della minoranza musulmana nello Stato di Rakhine da parte delle forze di sicurezza del Paese.

Si tratta della quarta richiesta degli esperti Onu dal 1982: al governo birmano si chiede di fornire informazio­ni dettagliat­e sulla re- pressione dell’esercito dalla fine di agosto scorso, la stessa repression­e che ha spinto alla fuga in Bangladesh oltre 600 mila persone.

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Ansa Con Aung San Suu Kyi Papa Francesco con Aung San Suu Kyi durante l’incontro di ieri

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