Una questione privata ma non troppo
Il celebre romanzo di Fenoglio riletto ( bene) dai Taviani: ma perché quel romanesco?
Che scrittore immenso e immensamente sfortunato, Beppe Fenoglio. Morì ad appena 41 anni, lasciando una moglie, una figlia piccola piccola e larga parte dei suoi scritti incompiuti. Le cronache relegarono la sua scomparsa a notizia neanche troppo rilevante. Neanche chi lo pubblicava ci credeva appieno, come Elio Vittorini. Lo stesso Fenoglio credeva di “non possedere le quattro marce” per il romanzo. Quelle marce si ritrovarono invece, e appieno, nel “libro che tutta la nostra generazione avrebbe voluto scrivere sulla Resistenza”. Così ebbe a definirlo Italo Calvino, uno dei pochi ad aver sempre ritenuto Fenoglio quel che era ed è: uno dei più grandi scrittori del Novecento.
Quel libro, trovato per caso e uscito postumo nel 1963, era Una questione privata. I fratelli Taviani lo hanno portato al cinema, consci di quanto il materiale fosse incandescente. Fa effetto sentire Milton parlare in romano, è straniante vedere le Langhe trasformarsi nella Val Maira e Fulvia non potrà mai avere un volto, essendo l’amore assoluto ( e quindi inesistente). Eppure il film, grazie alla sua essenzialità, tiene.
I TAVIANI lavorano per sottrazione, insistendo su quella questione privata che offusca quasi la questione pubblica: ovvero la guerra, la morte e “gli scarafaggi neri”. La forza vertiginosa di Fenoglio sta in quella lingua che scortecciava le parole e nella capacità di tratteggiare un amore che non è mai solo “casa in colli- na”, per citare il “rivale” conterraneo Cesare Pavese. Non è che Milton ami e quindi si distragga dalla Resistenza: al contrario, l’amore – assoluto e dunque negato – assurge a carburante per fare la rivoluzionare. Laddove l’uomo del Dopoguerra appare scisso e irrisolto, Milton ha la sua integrità perché – avrebbe detto Adorno – sa tenere insieme pubblico e privato. Fenoglio parla d’amore non per evasione, ma per raccontare una ribellione. Intima e universale. Tutto questo, nel film dei Taviani, c’è (per quanto possa esserci). Luca Marinelli, anche somigliante a Fenoglio, è bravo nel giocare di sguardi e silenzi. E Valentina Bellé ha la bellezza sadicamente giovanile e stronza che contribuì a smarrire Milton.
È UN FILM BREVE e tremendo, dalla fotografia mirabile e dalle non poche stazioni del calvario. La fucilazione di Riccio. La bambina che si finge morta e continua ad abbracciare la madre ammazzata per scampare al rastrellamento. Il jazz inventato del fascista pazzo e condannato a morte. E poi quel finale aperto e nebuloso, proprio come nel libro. Un finale che forse Fenoglio desiderava così. O che forse invece non ebbe il tempo di terminare.