Il Fatto Quotidiano

Una questione privata ma non troppo

Il celebre romanzo di Fenoglio riletto ( bene) dai Taviani: ma perché quel romanesco?

- » ANDREA SCANZI

Che scrittore immenso e immensamen­te sfortunato, Beppe Fenoglio. Morì ad appena 41 anni, lasciando una moglie, una figlia piccola piccola e larga parte dei suoi scritti incompiuti. Le cronache relegarono la sua scomparsa a notizia neanche troppo rilevante. Neanche chi lo pubblicava ci credeva appieno, come Elio Vittorini. Lo stesso Fenoglio credeva di “non possedere le quattro marce” per il romanzo. Quelle marce si ritrovaron­o invece, e appieno, nel “libro che tutta la nostra generazion­e avrebbe voluto scrivere sulla Resistenza”. Così ebbe a definirlo Italo Calvino, uno dei pochi ad aver sempre ritenuto Fenoglio quel che era ed è: uno dei più grandi scrittori del Novecento.

Quel libro, trovato per caso e uscito postumo nel 1963, era Una questione privata. I fratelli Taviani lo hanno portato al cinema, consci di quanto il materiale fosse incandesce­nte. Fa effetto sentire Milton parlare in romano, è straniante vedere le Langhe trasformar­si nella Val Maira e Fulvia non potrà mai avere un volto, essendo l’amore assoluto ( e quindi inesistent­e). Eppure il film, grazie alla sua essenziali­tà, tiene.

I TAVIANI lavorano per sottrazion­e, insistendo su quella questione privata che offusca quasi la questione pubblica: ovvero la guerra, la morte e “gli scarafaggi neri”. La forza vertiginos­a di Fenoglio sta in quella lingua che scorteccia­va le parole e nella capacità di tratteggia­re un amore che non è mai solo “casa in colli- na”, per citare il “rivale” conterrane­o Cesare Pavese. Non è che Milton ami e quindi si distragga dalla Resistenza: al contrario, l’amore – assoluto e dunque negato – assurge a carburante per fare la rivoluzion­are. Laddove l’uomo del Dopoguerra appare scisso e irrisolto, Milton ha la sua integrità perché – avrebbe detto Adorno – sa tenere insieme pubblico e privato. Fenoglio parla d’amore non per evasione, ma per raccontare una ribellione. Intima e universale. Tutto questo, nel film dei Taviani, c’è (per quanto possa esserci). Luca Marinelli, anche somigliant­e a Fenoglio, è bravo nel giocare di sguardi e silenzi. E Valentina Bellé ha la bellezza sadicament­e giovanile e stronza che contribuì a smarrire Milton.

È UN FILM BREVE e tremendo, dalla fotografia mirabile e dalle non poche stazioni del calvario. La fucilazion­e di Riccio. La bambina che si finge morta e continua ad abbracciar­e la madre ammazzata per scampare al rastrellam­ento. Il jazz inventato del fascista pazzo e condannato a morte. E poi quel finale aperto e nebuloso, proprio come nel libro. Un finale che forse Fenoglio desiderava così. O che forse invece non ebbe il tempo di terminare.

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Luca Marinelli, 33 anni, nei panni del protagonis­ta, alter ego di Beppe Fenoglio
Il partigiano Milton Luca Marinelli, 33 anni, nei panni del protagonis­ta, alter ego di Beppe Fenoglio

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