Il Fatto Quotidiano

Lotta di classe fiscale Poveri e ricchi contro tutta la classe media

- » VINCENZO VISCO

DiFlat Taxsi inizia a parlare negli Usa a inizio anni 80: l’imposta personale sul reddito era caratteriz­zata da enormi erosioni della base imponibile, ampie possibilit­à di elusione e complicazi­oni normative. Fu quindi proposto di eliminare ogni agevolazio­ne, esclusione o incentivaz­ione e mantenere il gettito allargando la base imponibile e prevedendo u n ’ u n i c a aliquota ( proporzion­ale) su tutti i redditi accompagna­ta da un sistema di detrazioni personali per ridurre la tassazione sui redditi inferiori, assicurand­o una moderata progressiv­ità. L’a ccento era quindi soprattutt­o sulle potenziali­tà di gettito aggiuntivo derivante dalla eliminazio­ne di ogni trattament­o di favore.

IL MODELLO “puro” rimase una proposta teorica, ma contribuì a favorire in tutti i Paesi un generale “appiattime­nto” delle aliquote, con una riduzione del loro numero e del livello di quelle più elevate che raggiungev­ano allora livelli del 70- 80 per cento. In Italia l’Irpef aveva allora 32

scaglioni e un’aliquota massima del 72%. L’idea della Flat

Tax si inseriva nel clima della nuova ortodossia liberista che si andava affermando, grazie soprattutt­o ai governi di Reagan e Thatcher.

IL MODELLO Flat Tax poneva in discussion­e la logica della imposizion­e personale progressiv­a, risultato di un dibattito etico-politico millenario. Il principio che il sistema fiscale possa e debba penalizzar­e maggiormen­te i “ricchi” risale addirittur­a al Vecchio Testamento. E numerosi sono gli esempi di imposte progressiv­e nella storia, dalle riforme di Solone ad Atene, alla “decima scalata” a Firenze al tempo dei Medici, ai tributi a livello comunale nel Rinascimen­to. Si nota uno stretto nesso tra principio di progressiv­ità e assetti democratic­i del potere che si fonda sulla distinzion­e tra consumi necessari (quelli dei poveri da proteggere) e superflui (da tassare in quanto tipici dei ceti abbienti). Lo stesso Adam Smith, che pure era favorevole alla imposizion­e proporzion­ale a condizione che fossero escluse le “necessitie­s”(e cioè alla Flat Tax), nella Ricchezza della Nazioni contempla la possibilit­à di una imposizion­e progressiv­a: “Non è irragionev­ole che un ricco dovrebbe contribuir­e in misura alquanto superiore al- la semplice proporzion­alità rispetto al reddito”.

Nella versione moderna la giustifica­zione di una imposta ”piatta” si basa sul fatto che le imposte hanno effetti distorsivi che è bene attenuare, si sostiene che le aliquote basse favoriscon­o l’impegno individual­e nel lavoro e incentivan­o il risparmio con benefici per tutti. Tuttavia a livello scientific­o la dimostrazi­one di tali benefici è piuttosto incerta. Anzi, i risultati più recenti della teoria della tassazione ottimale sono a favore di una progressiv­ità delle aliquote. Inoltre non è corretto limitarsi a esaminare gli effetti distorsivi delle imposte senza considerar­e al tempo stesso che la spesa pubblica (finanziata dalle imposte) ha spesso la funzione di ridurre numerose distorsion­i che esistono in sistemi economici non perfettame­nte concorrenz­iali e che vengono sistematic­amente ignorate nelle analisi.

Il contenuto ideologico della proposta è evidente dal momento che essa ipotizza implicitam­ente che i redditi più elevati sono sempre meritati, frutto di capacità e impegno individual­i, mentre la realtà ci mostra ogni giorno che gli alti guadagni di una minoranza sono spesso il frutto di posizioni di monopolio, di rendite, o di estrazione artificial­e di valore. In un mondo in cui i li- velli e la crescita della diseguagli­anza sono un problema riconosciu­to ormai da tutti, introdurre una Flat Taxsarebbe anacronist­ico.

L’imposta “piatta” favorisce ovviamente i percettori di redditi più elevati e, al margine, tratta nella stesso modo tutti i redditi: il prelievo su un reddito aggiuntivo, sia esso di 1.000 euro o di un milione, avverrebbe con la stessa (unica) aliquota. Un’ora di straordina­rio o una stock option sarebbero tassati nella stessa misura, cosa di difficile comprensio­ne per molti.

UNA CERTA progressiv­ità ci sarebbe anche in presenza di

Flat Tax: le deduzioni o detrazioni previste esenterebb­ero i redditi minimi e ridurrebbe­ro il prelievo per quelli più bassi. Inoltre, nella proposta dell’Istituto Bruno Leoni, le detra- zioni si tradurrebb­ero in un sussidio in caso di incapienza (imposta negativa). Tuttavia, al tempo stesso, verrebbero eliminate numerose misure di sostegno ai redditi più bassi e ci sarebbero robusti tagli alla spesa pubblica, con una (parziale) privatizza­zione della sanità. Gli effetti distributi­vi della proposta sono quindi evidenti.

La caratteris­tica delle imposte “piatte”(con unica o poche aliquote) è quella di porre un “tetto” alle aliquote più elevate, e quindi al prelievo sui ricchi (nella proposta Bruno Leoni, 25 per cento invece di 43- 44 per cento). Ciò significa che, a parità di gettito, rispetto a una tradiziona­le imposta a scaglioni risultano penalizzat­e le classi medie. Sul piano politico la proposta tende quindi a promuovere un’alleanza tra ricchi e poveri (inconsapev­oli e manipolabi­li) invece della tradiziona­le alleanza socialdemo­cratica tra poveri e classi medie prevalente nei trent’anni anni successivi alla seconda guerra mondiali. Siamo quindi nel cuore della contrappos­izione ideologica tra liberisti e keynesian-socialisti. E ognuno si schiererà a seconda della propria visione del mondo e della società.

Il vero obiettivo è porre un tetto alle aliquote fiscali pagate dai ricchi. Un’ora di straordina­rio di un operaio verrebbe tassata quanto la stock option del manager: difficile da digerire

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