ASSASSINIO SULL’ETRURIA EXPRESS
IL PM ROSSI, GIÀ CONSULENTE DI RENZI, SACRIFICA VISCO PER SALVARE L’EX MINISTRA DI MATTEO (E IL SOLITO BABBO PIER LUIGI)
Per diramare il bollettino della vittoria le “fonti del Nazareno vicine al segretario Pd Matteo Renzi” non aspettano neppure la fine dell’audizione di Roberto Rossi: “Anche su Etruria sta emergendo una responsabilità di Bankitalia, come già sulle Venete. Quello che sta uscendo ha dell’incredibile, dell’inenarrabile”. Il procuratore della Repubblica di Arezzo, già consulente del governo Renzi, ha abilmente portato la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche dove voleva lui, sulle responsabilità della vigilanza di Banca d’Italia nel crac della banca popolare aretina.
RESTA IN UN ANGOLOil nodo politico dei conflitti d’interessi del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi e dei suoi cari. Prova Andrea Augello (Idea) a farlo parlare degli strani rapporti con ambienti massonici e delle richieste di aiuto di Pier Luigi Boschi (vicepresidente di Etruria) all’anziano faccendiere Flavio Carboni. Rossi risponde a monosillabi, dice che non ha ravvisato reati, spiega che papà Boschi non è imputato per bancarotta per- ché “non ha mai partecipato alle delibere per i finanziamenti” incriminati. Poi la butta sul sentimentale: “Faccio questo lavoro da 30 anni, sono della vecchia scuola, le persone si distinguono non per di chi sono figli o padre, per il loro orientamento sessuale o politico, ma per i comportamenti”.
Ed è lì che scaglia su Palazzo Koch una storia nota da anni. Il 3 dicembre 2013 il gover- natore della Banca d’I tal ia scrive a Etruria che l’ispezione appena conclusa ha dato risultati preoccupanti e che “ritiene che la Popolare non sia più in grado di percorrere in via autonoma la strada del risanamento”. Da qui l’ordine di integrarsi “con un partner di elevato standing” entro 120 giorni, un tempo così breve da spiegarsi solo in due modi: o chi ha scritto la lettera aveva fumato roba buona oppure sapeva già il nome della sposa.
GIÀ ALLORA anche i muri sapevano che era la Popolare di Vicenza (Bpvi) di Gianni Zonin. Qui parte il missile di Rossi, un missile a orologeria visto che sa tutto da almeno due anni. Ricorda che Etruria è stata commissariata nel febbraio 2015 proprio perché, accusava Bankitalia, “non è stata portata all’attenzione dell’a ssemblea dei soci l’unica offerta giuridicamente rilevante cioè quella avanzata da Bpvi”. E commenta: “Ci è sembrato un poco strano. Vicenza era ritenuto un partner di elevato standing nel febbraio 2015. Poi abbiamo letto dichiarazioni dell’ispettore Bankitalia in cui ci venivano relazionate condizioni di Bpvi non dissimili da Etruria. Abbiamo trovato un po’ singolare che venisse incentivata questa a gg re ga zi on e. Nella relazione ispettiva, già quella del 2012 su Vicenza, sembra di leggere le relazioni su Etruria”.
Rossi affonda il coltello nel burro. Addirittura dopo il commissariamento tutto il cda di Etruria, papà Boschi
Visco nel mirino Il magistrato ex consulente del governo renziano manda gli atti alla Procura di Roma
compreso, è stato sanzionato da Bankitalia proprio per non aver realizzato la fusione con Vicenza. Commenta Rossi: “L'impressione è che questo sia stato determinante nel commissariamento”.
Bankitalia non ci sta e si affida alla solita velina anonima, come fa sempre nei momenti difficili. L’Ansa la riporta così com'è, contraddittoria come è stata dettata: “Bankitalia ha contestato a Banca Etruria non la mancata aggregazione con la Popolare di Vicenza ma il fatto che l’unica proposta di aggregazione ricevuta, che e- ra proprio quella di Vicenza, non fosse stata portata a conoscenza dell’Assemblea”.
Ma Rossi, per la gioia di Renzi e della illustre famiglia concittadina dei Boschi, alza il tiro. Rispondendo ad Alessio Villarosa (M5S) – anche lui attirato con successo sull’argomento Banca d'Italia per lasciare in pace papà Boschi – il procuratore di Arezzo dice:
“Noi non indaghiamo sulla vigilanza, non ne avremmo alcuna competenza.
Ci siamo imbattuti in alcune situazioni...”.
A questo punto la seduta diventa segreta. Si parla di atti giudiziari riservati. Rossi comunica che sta mettendo insieme i documenti per inviarli al collega competente territorialmente, il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, e segnalargli fatti che potrebbero configurare un reato a carico dei vertici della Banca d’Italia. Qui Rossi si ferma, ma tutti ca- piscono che nel mirino c’è il governatore Ignazio Visco e che il reato ipotizzabile potrebbe essere l’abuso d’ufficio.
L’attacco di Rossi a Bankitalia merita di essere analizzato anche alla luce della sfortunata sinergia attivata nel 2013 dalla Vigilanza e dalla Procura di Arezzo. Gli ispettori di Palazzo Koch hanno sollecitato Rossi a mandare a processo l’ex presidente di Etruria, Giuseppe Fornasari, con l’accusa di ostacolo alla vigilanza.
Esa ttame nte un anno fa, il 30 novembre 2016, l’imputato è stato assolto “perché il fatto non sussiste” dal gip Annamaria Loprete che ha motivato la sentenza, tra l’altro, con una notazione beffarda: “La fonte principale di accusa sul punto è la prova dichiarativa resa da Gatti Emanuele”. Cioè dall’ispettore della Banca d’Italia.
A DIFESA DI PAPÀ BOSCHI
Le persone non si distinguono in base a chi sono figli o padri o per orientamento politico, ma per i comportamenti