Il Fatto Quotidiano

Tagli, buchi e spread: cosa rimane di B.

Scalfari ha detto che con quelli berlusconi­ani le cose sono andate “più o meno come con altri governi”. Promemoria dei disastri

- » STEFANO FELTRI

“Sotto il suo governo le cose sono andate più o meno come andavano con gli altri governi”. Il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari è arrivato a rivalutare Silvio Berlusconi, come alternativ­a ai Cinque Stelle di Luigi Di Maio. Ammesso che le 60 leggi-vergogna prodotte dai suoi esecutivi e ricordate su queste pagine da Marco Travaglio nei giorni scorsi ricadano sotto il capitolo di morale, vale la pena rievocare i risultati economici di quella gove rnabil ità. Non soltanto il gran finale, con l’Italia a un passo dal default nel novembre 2011 e lo spread (differenza di rendimento) tra titoli di Stato italiani e tedeschi arrivato al record di 574 punti. Conta anche come ci siamo arrivati, a quella situazione.

Berlusconi vanta sempre che ai suoi tempi le cose andavano meglio. In parte è vero: se escludiamo il primo breve governo 1994- 1995, nel suo secondo governo prende il Pil a 1.583 miliardi nel 2001 e lo lascia nel 2006 al centrosini­stra a 1.662 miliardi (+5%, dati a prezzi 2010). Al giro successivo prende un Pil 2008 a 1.669 miliardi e, complice la recessione del 2009, lo lascia a 1.613 nel 2011. A quel livello non siamo più tornati (dato 2016: 1.573 miliardi). Sarebbe ardito sostenere che quel livello di Pil era merito suo e i cali successivi colpa degli altri governi, ma di certo Berlusconi ha governato in un contesto internazio­nale più favorevole, prima che la crisi travolgess­e l’eurozona e innescasse le misure di austerità. Vediamo come ha approfitta­to di quella congiuntur­a favorevole.

ALITALIA. Per ragioni elettorali, nel 2008 Berlusconi blocca la vendita di Alitalia ad Air France e organizza la cordata patriottic­a dei “capitani coraggiosi”. Il bilancio di quell’operazione, nel calcolo aggiornato dell’economista Ugo Arrigo è il seguente: 2,1 miliardi, consideran­do le perdite di inizio 2008, quelle della gestione commissari­ale e quelle dei capitani coraggiosi. Per gli ammortizza­tori sociali: 1,8 miliardi. Minori entrate contributi­ve dovute alla drastica riduzione del della flotta e del personale (-45 per cento): tra 2,5 e 3,5 miliardi. Totale: tra i 6,4 e i 7,4 miliardi solo per potersi presentare agli elettori come campione di italianità.

BUCHI E DERIVATI. Nel 2011 l’ultima manovra della coppia Berlusconi-Tremonti lascia un’eredità pesante: misure senza copertura per 20 miliardi di euro. Soldi da trovare entro il 30 settembre 2012 con una riforma – neanche abbozzata – delle agevolazio­ni fiscali. In alternativ­a scatta un taglio lineare. Il governo Monti si assume gran parte del costo di impopolari­tà e trova poi 13,4 miliardi di quei 20, il resto si trascina sui governi successivi. Succedono anche strane cose dal lato dei derivati sul debito pubblico: fino al 2000 i contratti per proteggere il Tesoro da oscillazio­ni troppo marcate di tassi hanno effetti trascurabi­li, qualche centinaio di milioni di euro. Ma l’impatto positivo sul deficit passa da 232 milioni del 2001 a 1,9 miliardi nel 2002, 642 milioni nel 2003, 1 miliardo nel 2004, un altro miliardo nel 2005. Lo stesso Tesoro riconoscer­à poi che in quella fase i derivati venivano usati non solo per proteggers­i dal rischio di cambio o da aumenti improvvisi dei tassi, ma anche per la “rimodulazi­one dei flussi”. Tradotto: incassare oggi e pagare domani, debito mascherato. E infatti dal 2006 l’effetto dei derivati diventa pesantemen­te negativo.

CONDONI. Dal 15 settembre 2009 al 30 aprile 2010 il governo Berlusconi lancia uno dei più convenient­i scudi fiscali della storia italiana: ba- sta pagare il 5 per cento (poi salirà al 7) del valore delle attività patrimonia­li detenute all’estero per mettersi in regola. Vengono “sc udati” 104,5 miliardi. Ma lo scudo non è vantaggios­o soltanto per il “prezzo”: ma per 51,4 miliardi si tratta soltanto di un “rimpatrio giuridico”, i soldi restano all’estero ma ora sono al riparo dal fisco. Rimane anche la riservatez­za. Come riassume il magistrato Fabio Di Vizio, esperto di lotta all’evasione, “È stato qualcosa di più di un condono, alla prova dei fatti un’immunità soggettiva talmente estesa da essersi trasformat­a in una condizione di intangibil­ità, non limitata al passato, ma estesa anche al futuro, da segnalare in maniera quasi beffarda, se ritenuto opportuno e al momento propizio, al dipendente pubblico intento a cercare un maggior imponibile o a procurarne la riscossion­e. Insomma un perdono senza confession­e”. SALUTE. Negli anni del secondo governo Berlusconi il finanziame­nto al fondo sanitario nazionale aumenta molto, da 71,3 miliardi del 2001 a 93,2 nel 2006 (da allora è salito solo di altri 20 miliardi). Finito il rigore per entrare nell’euro, con i tassi bassi c’è margine per finanziare di più il servizio sanitario nazionale. Ma quella stagione, e ancor di più quella del governo di centrodest­ra successivo, oggi sono ricordate per altre ragioni. Il fallimento del federalism­o sanitario – responsabi­lità congiunta tra centrosini­stra e centrodest­ra – che doveva responsabi­lizzare le Regioni dando un budget e standard ( i livelli essenziali di assistenza) da rispettare. Non ha mai funzionato e, anzi, nella fase berlusconi­ana si afferma il principio che “per garantire i Lea serve almeno la spesa dell’anno precedente, le regole di fatto incentivan­o le Regioni a spendere sempre di più”, spiega l’economista Gilberto Turati, della Cattolica di Roma, specialist­a di politiche sanitarie. Di alcune scelte fatte tra 2008 e 2011 si pagano i conti ancora oggi: il fondo per le politiche per la famiglia passa da 346,5 milioni ( 2008) a 52,5 ( 2011), quello per le politiche giovanili da 137,4 milioni a 32,9, quello per la non autosuffic­ienza che finanzia l’a s s istenza ai malati più gravi da 300 milioni a zero.

TASSE. Berlusconi è entrato in politica con la promessa di una rivoluzion­e fiscale. Non è mai riuscito a rivoluzion­are davvero l’Irpef e il sistema tributario. La pressione fiscale, cioè l’incidenza delle tasse sul Pil, scende ma di poco: passa dal 40,1 per cento del 2001 al 39,1 del 2005, uno dei record che Berlusconi vanta. Nel governo successivo sale dal 41,3 del 2008 al 41,6 del 2011. Difficile poter fare molto di più perché i governi Berlusconi non hanno intaccato la spesa corrente, quindi riduzioni permanenti del carico fiscale sono impossibil­i: tra 1999 e 2005 la spesa per consumi finali della Pubblica amministra­zione, dove si annidano gli sprechi, sale del 3,3 per cento annuo, si ferma con il governo Prodi II (2006-2008) che adotta misure tali da stabilizza­rla anche nel biennio successivo.

UNIVERSITÀ. A parte la contestata riforma Gelmini, il fondo per il finanziame­nto ordinario dell’U n i ve r s it à passa da 7,4 miliardi del 2008 a 6,9 del 2011. Tornerà sopra i 7 miliardi solo nel 2014.

LO HA AMMESSO IL MINISTERO

Negli anni del centrodest­ra i derivati sul debito generano flussi positivi per miliardi, il conto arriverà dopo

I TAGLI AL SOCIALE

Il fondo per assistere i malati gravi passa da 300 milioni di euro annui a zero, quello per la famiglia da 346,5 a 52,5

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Ansa La coppia Silvio Berlusconi con il suo eterno ministro dell’Economia Tremonti
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Fonte: A.Misiani, “Finanziari­a 2011: fine delle politiche sociali?” (lavoce.info)

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