Tagli, buchi e spread: cosa rimane di B.
Scalfari ha detto che con quelli berlusconiani le cose sono andate “più o meno come con altri governi”. Promemoria dei disastri
“Sotto il suo governo le cose sono andate più o meno come andavano con gli altri governi”. Il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari è arrivato a rivalutare Silvio Berlusconi, come alternativa ai Cinque Stelle di Luigi Di Maio. Ammesso che le 60 leggi-vergogna prodotte dai suoi esecutivi e ricordate su queste pagine da Marco Travaglio nei giorni scorsi ricadano sotto il capitolo di morale, vale la pena rievocare i risultati economici di quella gove rnabil ità. Non soltanto il gran finale, con l’Italia a un passo dal default nel novembre 2011 e lo spread (differenza di rendimento) tra titoli di Stato italiani e tedeschi arrivato al record di 574 punti. Conta anche come ci siamo arrivati, a quella situazione.
Berlusconi vanta sempre che ai suoi tempi le cose andavano meglio. In parte è vero: se escludiamo il primo breve governo 1994- 1995, nel suo secondo governo prende il Pil a 1.583 miliardi nel 2001 e lo lascia nel 2006 al centrosinistra a 1.662 miliardi (+5%, dati a prezzi 2010). Al giro successivo prende un Pil 2008 a 1.669 miliardi e, complice la recessione del 2009, lo lascia a 1.613 nel 2011. A quel livello non siamo più tornati (dato 2016: 1.573 miliardi). Sarebbe ardito sostenere che quel livello di Pil era merito suo e i cali successivi colpa degli altri governi, ma di certo Berlusconi ha governato in un contesto internazionale più favorevole, prima che la crisi travolgesse l’eurozona e innescasse le misure di austerità. Vediamo come ha approfittato di quella congiuntura favorevole.
ALITALIA. Per ragioni elettorali, nel 2008 Berlusconi blocca la vendita di Alitalia ad Air France e organizza la cordata patriottica dei “capitani coraggiosi”. Il bilancio di quell’operazione, nel calcolo aggiornato dell’economista Ugo Arrigo è il seguente: 2,1 miliardi, considerando le perdite di inizio 2008, quelle della gestione commissariale e quelle dei capitani coraggiosi. Per gli ammortizzatori sociali: 1,8 miliardi. Minori entrate contributive dovute alla drastica riduzione del della flotta e del personale (-45 per cento): tra 2,5 e 3,5 miliardi. Totale: tra i 6,4 e i 7,4 miliardi solo per potersi presentare agli elettori come campione di italianità.
BUCHI E DERIVATI. Nel 2011 l’ultima manovra della coppia Berlusconi-Tremonti lascia un’eredità pesante: misure senza copertura per 20 miliardi di euro. Soldi da trovare entro il 30 settembre 2012 con una riforma – neanche abbozzata – delle agevolazioni fiscali. In alternativa scatta un taglio lineare. Il governo Monti si assume gran parte del costo di impopolarità e trova poi 13,4 miliardi di quei 20, il resto si trascina sui governi successivi. Succedono anche strane cose dal lato dei derivati sul debito pubblico: fino al 2000 i contratti per proteggere il Tesoro da oscillazioni troppo marcate di tassi hanno effetti trascurabili, qualche centinaio di milioni di euro. Ma l’impatto positivo sul deficit passa da 232 milioni del 2001 a 1,9 miliardi nel 2002, 642 milioni nel 2003, 1 miliardo nel 2004, un altro miliardo nel 2005. Lo stesso Tesoro riconoscerà poi che in quella fase i derivati venivano usati non solo per proteggersi dal rischio di cambio o da aumenti improvvisi dei tassi, ma anche per la “rimodulazione dei flussi”. Tradotto: incassare oggi e pagare domani, debito mascherato. E infatti dal 2006 l’effetto dei derivati diventa pesantemente negativo.
CONDONI. Dal 15 settembre 2009 al 30 aprile 2010 il governo Berlusconi lancia uno dei più convenienti scudi fiscali della storia italiana: ba- sta pagare il 5 per cento (poi salirà al 7) del valore delle attività patrimoniali detenute all’estero per mettersi in regola. Vengono “sc udati” 104,5 miliardi. Ma lo scudo non è vantaggioso soltanto per il “prezzo”: ma per 51,4 miliardi si tratta soltanto di un “rimpatrio giuridico”, i soldi restano all’estero ma ora sono al riparo dal fisco. Rimane anche la riservatezza. Come riassume il magistrato Fabio Di Vizio, esperto di lotta all’evasione, “È stato qualcosa di più di un condono, alla prova dei fatti un’immunità soggettiva talmente estesa da essersi trasformata in una condizione di intangibilità, non limitata al passato, ma estesa anche al futuro, da segnalare in maniera quasi beffarda, se ritenuto opportuno e al momento propizio, al dipendente pubblico intento a cercare un maggior imponibile o a procurarne la riscossione. Insomma un perdono senza confessione”. SALUTE. Negli anni del secondo governo Berlusconi il finanziamento al fondo sanitario nazionale aumenta molto, da 71,3 miliardi del 2001 a 93,2 nel 2006 (da allora è salito solo di altri 20 miliardi). Finito il rigore per entrare nell’euro, con i tassi bassi c’è margine per finanziare di più il servizio sanitario nazionale. Ma quella stagione, e ancor di più quella del governo di centrodestra successivo, oggi sono ricordate per altre ragioni. Il fallimento del federalismo sanitario – responsabilità congiunta tra centrosinistra e centrodestra – che doveva responsabilizzare le Regioni dando un budget e standard ( i livelli essenziali di assistenza) da rispettare. Non ha mai funzionato e, anzi, nella fase berlusconiana si afferma il principio che “per garantire i Lea serve almeno la spesa dell’anno precedente, le regole di fatto incentivano le Regioni a spendere sempre di più”, spiega l’economista Gilberto Turati, della Cattolica di Roma, specialista di politiche sanitarie. Di alcune scelte fatte tra 2008 e 2011 si pagano i conti ancora oggi: il fondo per le politiche per la famiglia passa da 346,5 milioni ( 2008) a 52,5 ( 2011), quello per le politiche giovanili da 137,4 milioni a 32,9, quello per la non autosufficienza che finanzia l’a s s istenza ai malati più gravi da 300 milioni a zero.
TASSE. Berlusconi è entrato in politica con la promessa di una rivoluzione fiscale. Non è mai riuscito a rivoluzionare davvero l’Irpef e il sistema tributario. La pressione fiscale, cioè l’incidenza delle tasse sul Pil, scende ma di poco: passa dal 40,1 per cento del 2001 al 39,1 del 2005, uno dei record che Berlusconi vanta. Nel governo successivo sale dal 41,3 del 2008 al 41,6 del 2011. Difficile poter fare molto di più perché i governi Berlusconi non hanno intaccato la spesa corrente, quindi riduzioni permanenti del carico fiscale sono impossibili: tra 1999 e 2005 la spesa per consumi finali della Pubblica amministrazione, dove si annidano gli sprechi, sale del 3,3 per cento annuo, si ferma con il governo Prodi II (2006-2008) che adotta misure tali da stabilizzarla anche nel biennio successivo.
UNIVERSITÀ. A parte la contestata riforma Gelmini, il fondo per il finanziamento ordinario dell’U n i ve r s it à passa da 7,4 miliardi del 2008 a 6,9 del 2011. Tornerà sopra i 7 miliardi solo nel 2014.
LO HA AMMESSO IL MINISTERO
Negli anni del centrodestra i derivati sul debito generano flussi positivi per miliardi, il conto arriverà dopo
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Il fondo per assistere i malati gravi passa da 300 milioni di euro annui a zero, quello per la famiglia da 346,5 a 52,5