Il Fatto Quotidiano

CSM, L’ADDEBITO ANTI-WOODCOCK NON SPETTA AL PG E FA PURE ACQUA

- » ANTONIO ESPOSITO

Pasquale Ciccolo – siciliano doc, come il suo (forse più famoso) vice Vincenzo Geraci (già ex Csm quando fu negata a Giovanni Falcone la nomina a capo dell’ufficio istruzione di Palermo) – è sicurament­e una persona di successo. Nel corso della sua carriera di magistrato gli sono stati conferiti prestigios­i incarichi: prima segretario generale del Csm, poi segretario generale della Corte costituzio­nale, ancora segretario generale della Procura generale della Corte di Cassazione, approdando, infine, nel febbraio del 2015, alla carica di procurator­e generale della stessa Corte. Ma egli è anche un po’ fortunato.

SAREBBE DOVUTO rimanere ai vertici della magistratu­ra requirente solo poco più di dieci mesi per poi, raggiunti i settant’anni, godersi, come gli altri colleghi, tranquilla­mente la pensione. Invece, due provvidenz­iali provvedime­nti governativ­i

( ratificati dal Parlamento) di proroga – (evento mai verificato­si negli annali della magistratu­ra) – gli hanno consentito, con altri venti alti magistrati, di continuare a esercitare fino a dicembre 2017 il suo alto ufficio che comprende la titolarità dell’azione disciplina­re nei confronti di tutti i magistrati. In relazione a tale attività, l’ufficio del Pg è stato investito, tra gli altri, di due casi importanti. Uno riguarda il procurator­e di Arezzo Roberto Rossi, in ordine al quale, a distanza di oltre 16 mesi dalla trasmissio­ne per competenza da parte del Csm degli atti relativi al magistrato, nulla si è saputo circa l’es ito dell’indagine. L’unica ipotesi possibile sembra essere quella dell’archiviazi­one del caso da parte del Pg. Eppure, la vicenda aveva suscitato un’enorme attenzione da parte dell’opinione pubblica perché il Csm aveva sottoposto, ai fini di un trasferime­nto di ufficio, il pm Rossi, già consulente giuridico del governo, ad accertamen­ti finalizzat­i ad acclarare i motivi per i quali il vicepresid­ente di Banca Etruria, padre della ministra Boschi, fosse “finora rimasto fuori dall’inchiesta” condotta dal Rossi sull’istituto bancario. Il clamore era stato ancora maggiore per la profonda spaccatura verificata­si nel Csm il cui Plenum, nel deliberare l’archiviazi­one, aveva “edulcorata” una relazione della prima commission­e fortemente critica nei confronti del Rossi provocando l’astensione, tra gli altri, proprio del relatore, e del presidente della 1ª commission­e, tutto ciò alla presenza del Pg (astenutosi) che veniva, così, a completa conoscenza delle plurime censure mosse dalla commission­e e, poi, depennate, a maggioranz­a, con la votazione del Plenum. Data la rilevanza della vicenda, era interesse dei cittadini conoscere se, a seguito dei doverosi accertamen­ti del Pg, ci fossero stati o meno ritardi o omissioni nella iscrizione del padre della ministra nel registro degli indagati. Il Pg, ripetutame­nte sollecitat­o dal Fatto, non ha ritenuto opportuno fornire alcuna notizia sull’esito degli accertamen­ti; ma quello che lascia perplessi è che nessun parlamenta­re abbia avvertito l’e s igenza di interrogar­e il ministro onde conoscere se avesse avuto contezza di un provvedime­nto di archiviazi­one e, in caso positivo, quali fossero state le sue determinaz­ioni.

Il secondo caso riguarda il rinvio a giudizio, avvenuto, quasi in prossimità della scadenza della proroga, innanzi alla sezione disciplina­re del Csm del pm Woodcock che, con l’inchiesta Consip, ha dato tante ambasce a vertici politici e dell’Arma. Sembra, però, che la montagna abbia partorito un topolino. Al magistrato napoletano viene attribuita, oltre alla pubblicazi­one di alcune opinioni sulla vicenda giudiziari­a del capitano del Noe Scafarto “riportate in maniera indiretta”(!!), la violazione di una norma del codice di procedura penale – per aver assunto come teste, nel corso dell’inchiesta Consip, Filippo Vannoni laddove costui doveva essere iscritto nel registro degli indagati e interrogat­o con l’assistenza del difensore.

LA CONTESTAZI­ONE lascia alquanto perplessi sia perché non è infrequent­e che, nel corso delle indagini preliminar­i, possano verificars­i casi di violazione di tale norma con relativa eccezione di inutilizza­bilità delle dichiarazi­oni da parte dei difensori, sia perché “il potere di verificare la corretta qualificaz­ione da attribuirs­i al dichiarant­e è propria del giudice il quale deve ricercare e valutare i soli indizi non equivoci di reità sussistent­i già prima della escussione del soggetto e conosciuti dal pm procedente” (SS. UU. n° 28868/ 2009). Ora, poiché è certo che gli imputati del processo Consip solleveran­no tale eccezione innanzi al giudice, avendo tutto l’interesse a ottenere – ove ne ricorrano i presuppost­i – una declarator­ia di inutilizza­bilità delle dichiarazi­oni accusatori­e del Vannoni, sembra che l’iniziativa del pg finisca per risolversi nel richiedere al Csm una anticipazi­one di tale valutazion­e che determina una irrituale sovrapposi­zione con l’accertamen­to demandato al giudice di merito.

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