CSM, L’ADDEBITO ANTI-WOODCOCK NON SPETTA AL PG E FA PURE ACQUA
Pasquale Ciccolo – siciliano doc, come il suo (forse più famoso) vice Vincenzo Geraci (già ex Csm quando fu negata a Giovanni Falcone la nomina a capo dell’ufficio istruzione di Palermo) – è sicuramente una persona di successo. Nel corso della sua carriera di magistrato gli sono stati conferiti prestigiosi incarichi: prima segretario generale del Csm, poi segretario generale della Corte costituzionale, ancora segretario generale della Procura generale della Corte di Cassazione, approdando, infine, nel febbraio del 2015, alla carica di procuratore generale della stessa Corte. Ma egli è anche un po’ fortunato.
SAREBBE DOVUTO rimanere ai vertici della magistratura requirente solo poco più di dieci mesi per poi, raggiunti i settant’anni, godersi, come gli altri colleghi, tranquillamente la pensione. Invece, due provvidenziali provvedimenti governativi
( ratificati dal Parlamento) di proroga – (evento mai verificatosi negli annali della magistratura) – gli hanno consentito, con altri venti alti magistrati, di continuare a esercitare fino a dicembre 2017 il suo alto ufficio che comprende la titolarità dell’azione disciplinare nei confronti di tutti i magistrati. In relazione a tale attività, l’ufficio del Pg è stato investito, tra gli altri, di due casi importanti. Uno riguarda il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, in ordine al quale, a distanza di oltre 16 mesi dalla trasmissione per competenza da parte del Csm degli atti relativi al magistrato, nulla si è saputo circa l’es ito dell’indagine. L’unica ipotesi possibile sembra essere quella dell’archiviazione del caso da parte del Pg. Eppure, la vicenda aveva suscitato un’enorme attenzione da parte dell’opinione pubblica perché il Csm aveva sottoposto, ai fini di un trasferimento di ufficio, il pm Rossi, già consulente giuridico del governo, ad accertamenti finalizzati ad acclarare i motivi per i quali il vicepresidente di Banca Etruria, padre della ministra Boschi, fosse “finora rimasto fuori dall’inchiesta” condotta dal Rossi sull’istituto bancario. Il clamore era stato ancora maggiore per la profonda spaccatura verificatasi nel Csm il cui Plenum, nel deliberare l’archiviazione, aveva “edulcorata” una relazione della prima commissione fortemente critica nei confronti del Rossi provocando l’astensione, tra gli altri, proprio del relatore, e del presidente della 1ª commissione, tutto ciò alla presenza del Pg (astenutosi) che veniva, così, a completa conoscenza delle plurime censure mosse dalla commissione e, poi, depennate, a maggioranza, con la votazione del Plenum. Data la rilevanza della vicenda, era interesse dei cittadini conoscere se, a seguito dei doverosi accertamenti del Pg, ci fossero stati o meno ritardi o omissioni nella iscrizione del padre della ministra nel registro degli indagati. Il Pg, ripetutamente sollecitato dal Fatto, non ha ritenuto opportuno fornire alcuna notizia sull’esito degli accertamenti; ma quello che lascia perplessi è che nessun parlamentare abbia avvertito l’e s igenza di interrogare il ministro onde conoscere se avesse avuto contezza di un provvedimento di archiviazione e, in caso positivo, quali fossero state le sue determinazioni.
Il secondo caso riguarda il rinvio a giudizio, avvenuto, quasi in prossimità della scadenza della proroga, innanzi alla sezione disciplinare del Csm del pm Woodcock che, con l’inchiesta Consip, ha dato tante ambasce a vertici politici e dell’Arma. Sembra, però, che la montagna abbia partorito un topolino. Al magistrato napoletano viene attribuita, oltre alla pubblicazione di alcune opinioni sulla vicenda giudiziaria del capitano del Noe Scafarto “riportate in maniera indiretta”(!!), la violazione di una norma del codice di procedura penale – per aver assunto come teste, nel corso dell’inchiesta Consip, Filippo Vannoni laddove costui doveva essere iscritto nel registro degli indagati e interrogato con l’assistenza del difensore.
LA CONTESTAZIONE lascia alquanto perplessi sia perché non è infrequente che, nel corso delle indagini preliminari, possano verificarsi casi di violazione di tale norma con relativa eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni da parte dei difensori, sia perché “il potere di verificare la corretta qualificazione da attribuirsi al dichiarante è propria del giudice il quale deve ricercare e valutare i soli indizi non equivoci di reità sussistenti già prima della escussione del soggetto e conosciuti dal pm procedente” (SS. UU. n° 28868/ 2009). Ora, poiché è certo che gli imputati del processo Consip solleveranno tale eccezione innanzi al giudice, avendo tutto l’interesse a ottenere – ove ne ricorrano i presupposti – una declaratoria di inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie del Vannoni, sembra che l’iniziativa del pg finisca per risolversi nel richiedere al Csm una anticipazione di tale valutazione che determina una irrituale sovrapposizione con l’accertamento demandato al giudice di merito.