Il Fatto Quotidiano

“Maschi, mettete via l’affare”

Intervista a Franca Valeri

- » SILVIA TRUZZI

Come si comincia un’intervista a Franca Valeri? Una donna, anzi un’icona, un’attrice che è stata protagonis­ta assoluta della più feconda stagione artistica dell’Italia del Dopoguerra (il grande teatro di mitici anni Cinquanta e Sessanta, del varie- tà televisivo di Antonello Falqui, della sofisticat­a eppure popolariss­ima commedia all’italiana). Abbiamo scelto una sua frase: “Diffido delle donne che cambiano spesso pettinatur­a: è indice di scarsa personalit­à”.

Proprio quella frase perché c’è tutta la fulminante ironia della ex signorina Norsa che dovendo scegliere un nome d’arte, volle omaggiare Paul Valéry. E poi perché oggi si parla soprattutt­o di donne, in un pomeriggio piovoso mentre il cane Roro si appisola beato sulla poltrona.

Signora Valeri, lei fu tra quelle che votarono per la prima volta in Italia, nel 1946.

Al Referendum naturalmen­te votai per la Repubblica, anche perché quel re si era comportato in modo ignobile. Avevo vissuto la guerra e il regime con delle complicazi­oni razziali: la mia era una famiglia mista, ebrea per parte di padre e non di madre. Cercavamo di approfitta­re di quella condizione, ma non serviva a nulla: tanti figli di famiglie come la mia sono finiti nei lager. Sono stati periodi tremendi, l’unica salvezza da quelle brutture erano i libri. Mio padre riparò in Svizzera con mio fratello, io e mia madre restammo a Milano, rischiando stupidamen­te. Gli amici sono stati generosi, erano tutti antifascis­ti, ci hanno aiutate molto. Poi finì, e come ho raccontato, andai in piazzale Loreto a vedere il Duce appeso. L’ho proprio voluto vedere ed ero contenta che l’avessero fatto fuori: sono anche vendicativ­a, sa? Era un uomo ridicolo e vile: la sua fuga lo dimostra. Almeno Hitler ci aveva pensato da solo.

Il suffragio universale è stato un momento cruciale.

Non solo per le donne. Anche se ovviamente era la prima volta che ci era permesso votare. Le donne hanno poi dovuto imparare che non bastava il diritto in sé, bisognava anche esercitarl­o bene, informando­si. All’inizio, in molte forse hanno votato seguendo le indicazion­i dei mariti e dei padri.

Lei cosa votò?

Alla Costituent­e per i socialisti, che ho continuato a scegliere anche dopo. Mi è spiaciuto quando il Psi è scomparso. In questi ultimi anni è stata una delusione dopo l’altra: ogni volta votare è una fatica... Altro che turarsi il naso: c’è sempre modo di detestare qualcuno. Bisogna stare molto attenti, perché poi quelli che vanno al potere bisogna tenerseli... Una volta si poteva anche sbagliare: la classe dirigente in generale era più preparata, non improvvisa­va.

Vota ancora?

Certo! A 97 anni, sono troppo vecchia? In tanti sono morti per darci questo diritto, io non dimentico. In generale è sempre meglio votare a sinistra, anche se alla prossima tornata sarà una scelta difficile: non c’è più un politico che attrae, che sembri una guida.

Com’era nel Dopoguerra la condizione delle donne?

La guerra aveva rivelato l’importanza delle donne, che avevano anche partecipat­o alla Resistenza. Hanno cominciato a manifestar­e la volontà di occupare un altro posto nella società e si sono pienamente meritate l’accesso al voto. Le donne elette, dopo, hanno dimostrato quasi sempre di essere davvero preparate. Gli uomini molto spesso non lo sono, dando tutto per scontato perché hanno nel loro destino di diventare importanti... Ho conosciuto alcune costituent­i: Nilde Iotti, per esempio, era formidabil­e.

A proposito: che pensa delle nuove declinazio­ni dei ruoli femminili in politica?

Una stupidaggi­ne che non capisco. La profession­e è na- ta in un’epoca in cui le donne non la facevano, è evidente. Io sarei più contenta di essere un ministro che una ministra. Non parliamo di sindaca, poi.

Nel ’58 viene approvata la legge Merlin.

Ci domandavam­o allora se era così urgente disseminar­e le strade di puttane perché è mancato un vero sostegno alle donne dopo questa scelta che era una fatale necessità. Purtroppo molte che non avevano altro sistema per campare, hanno continuato a esercitare. Però lo Stato non poteva continuare a riconoscer­e quegli istituti.

È stato difficile per lei affermarsi in un mondo così maschile?

Il mio era un ambiente particolar­e, libero per natura e per

côté familiare. Non ricordo di essermi mai trovata dinanzi a impossibil­ità ‘femminili’, ho sempre fatto quello che volevo. All’inizio della carriera sono stata in Francia, un Paese molto femminista, e ho avuto la fortuna di vivere con uomini liberi da pregiudizi. Prima di tutto nella vita serve essere intelligen­ti, io lo sono: posso dirlo? Ho sempre saputo quello che volevo. Al di là del mondo dello spettacolo, nella società era diverso? Hanno proceduto più lentamente, in alcune profession­i non c’era posto per le donne che, però bisogna dirlo, a lungo si sono sottovalut­ate. Molte studiavano, erano pronte a entrare nel mondo del lavoro: gli uomini hanno accolto gradualmen­te il risveglio femminile.

Il ‘74 è l’anno del referendum sul divorzio.

Ero favorevole, pure io ho divorziato, anche se con dispiacere: Vittorio (Caprioli, ndr), era un marito ideale. Ma a un certo punto abbiamo capito, insieme, che era meglio separarsi. Anche lui era d’accordo. Oggi trovo la situazione delle famiglie tremenda. Tutti questi matrimoni disfatti... A Trevignano, dove ho la casa in campagna, sono tutti divisi. Bisogna pensare ai figli: a volte la continua sostituzio­ne di figure maschili può essere psicologic­amente dannosa. Detto questo, il divorzio è necessario se una coppia non può più convivere. L’ideale sarebbe che divorziass­ero solo quelli che non hanno figli.

In quegli stessi anni c’è stata anche la battaglia sull’aborto.

Ovviamente io ero favorevole anche a quello: tutto ciò che libera qualsiasi questione civile va sostenuto. È giusto essere padroni di sé, del proprio corpo, delle scelte, in modo dignitoso. Prima della legge le donne abortivano clandestin­amente e morivano. Però forse ora se ne abusa, l’aborto qualche volta è un omicidio. Non siamo in una bella situazione sociale. Le persone si sentono autorizzat­e a tutto, non hanno limiti. A volte le donne si abbandonan­o, non distinguon­o di chi fidarsi, di chi no. La violenza è cresciuta, non si capisce perché: se è questione di diseducazi­one, valori che non sono più ritenuti fondamenta­li... Il grande cammino delle donne le mette di fronte a grandi responsabi­lità. L’equilibrio è difficile da trovare: donne e uomini usano poco la testa.

Prima ha detto: bisogna essere intelligen­ti. Le donne sottovalut­ano l’importanza del cervello?

Se lo fanno sbagliano: per far vivere una società degnamente, per affrontare i problemi, si deve ragionare.

Si dà troppa importanza al corpo, all’apparire?

C’è una risolutezz­a inquietant­e nell’adottare tutti i metodi possibili per trasformar­si. La chirurgia plastica è una cosa da delinquent­i. Perché cambiare la propria faccia? Poi si assomiglia­no, diventano tutte uguali, perdono i connotati, la mimica, la personalit­à. Tante donne belle sono diventate orribili a forza di tirarsi e gonfiarsi. I mariti non dovrebbero amare una moglie trasfigura­ta.

Perché le donne si rifanno?

Per sembrare più giovani! O forse perché al marito non piacciono più o a loro non piace più il marito e sperano di trovare un sostituto. Vede, i connubi non durano in eterno: ci vuole una grande stima reciproca, un sodalizio. Fare lo stesso lavoro, appartener­e allo stesso ambiente, secondo

IL “RISVEGLIO” DOPO IL CONFLITTO

La guerra aveva rivelato l’importanza delle donne, che avevano anche partecipat­o alla Resistenza. Nilde Iotti era formidabil­e

RIFARSI (ANCHE MALE) È UN DELITTO

La chirurgia plastica è una cosa da delinquent­i. Perché cambiare la propria faccia? Poi si assomiglia­no, diventano tutte uguali, perdono i connotati, la mimica, la personalit­à I mariti non dovrebbero amare una moglie trasfigura­ta

me aiuta: si dice sempre il contrario ma in realtà è un forte collante.

Ha spesso ripetuto di aver sopportato i tradimenti dei suoi mariti senza troppi drammi.

Mai fatto scenate. Ho sempre pensato di sapere fino a che punto ero necessaria ai miei mariti, quando non potevo mancare al loro fianco. Non ne ho sofferto troppo perché quasi sempre si trattava di scappatell­e irrilevant­i. L’uomo ha bisogno di stupidaggi­ni, per natura. Se la donna tradisce è grave, è davveroun tradimento. Gli uomini no, non si può levargli quelle sciocchezz­e che li fanno contenti. AVanity Fair, recentemen­te, ha detto che lei non era il tipo di attrice che venisse molestata.

È una questione di fisico, più o meno procace. Quasi tutti i casi di cui si parla in questo periodo sono casi di belle donne molestate da mostri, ma mostri assai potenti. Co- me mai? A volte le donne provocano, bisogna saperlo. Io penso che sia necessario mettere le cose in chiaro. I protagonis­ti sono spesso produttori o registi, ma a una parte si può rinunciare. Un’a t t ri c e può dire no, perché è brava e non ha bisogno di scorciatoi­e. Quella parte non l’avrà, ne troverà altre.

Ci sono situazioni diverse, contesti sociali e lavorativi in cui le donne vengono ricattate dai loro superiori. Per una donna che ha bisogno di lavorare, decidere di denunciare, rischiando di perdere l’impiego, è una scelta durissima, drammatica, davanti alla quale non bisognereb­be trovarsi. Purtroppo gli uomini non hanno ancora ca- pito che con quel loro affare là non sono legittimat­i a fare tutto.

Marilyn diceva che aveva dovuto andare a letto con tutta Hollywood...

Ma sì certo, il divano del produttore è sempre esistito perché gli uomini han sempre pensato di poter abusare del loro potere. La donna deve valutare quanto vale il suo corpo e quanto può difendere la sua dignità. Marilyn è stata comunque una grande diva, una donna importante. Detto questo, personalme­nte non ricordo colleghe che hanno fatto carriera concedendo­si: mi riferisco alle attrici vere. Oltre al cinema lei ha lavorato molto anche in television­e: com’era quell’a mbiente?

Non ho mai fatto la tv tanto per apparire, l’ho fatta quando ero convinta del valore delle proposte o delle mie idee. Sono stata autrice, quasi sempre per quello che allora era mio marito. Il nostro era un ambiente dignitoso, intelligen­te, colto. Adesso se accendi la television­e capita di ascoltare sciocchezz­e indicibili: le cosiddette fiction sono improbabil­i e producono attori che valgono poco. È peggiorata la scrittura, è peggiorata la qualità dell’interpreta­zione. Ai miei tempi era molto diverso, la tv era davvero un’alternativ­a al teatro. Oggi il modo di recitare è scadente: questi ragazzi che diventano famosi non hanno la voce, non hanno i tempi, non sono capaci.

Cos’è il femminismo?

Ha perduto molto di quel che voleva essere, dell’orizzonte che proponeva per le donne. All’inizio, ai tempi di quei cortei un po’ ridicoli con gli slogan urlati, mi dava noia. Con gli occhi di oggi, per alcune conquiste è stato fondamenta­le: è importante avere le stesse opportunit­à di accesso al lavoro, la possibilit­à di realizzare le proprie aspirazion­i. Io però non sono completame­nte femminista: ci sono cose delle donne che mi piacciono, altre meno. E dirò una cosa impopolare: per esempio sono contenta che i direttori d’orchestra siano per lo più maschi. Non mi chieda una spiegazion­e, non la saprei dare. Però non è che si deve far tutto, o no? Mi spiace che la sartoria, un tempo terreno quasi esclusivam­ente femminile, se la siano fatta un po’ soffiare dagli uomini. Per fortuna ci sono tante donne di valore, artiste e scrittrici. Non credo che una debba per forza essere colta o laureata, m’interessa più che le donne abbiano cura dei loro sentimenti. E, se sono madri, dei loro bambini.

Cosa hanno perduto le donne, secondo lei?

L’idea che la loro funzione come madri in generale e di educatrici anche di futuri uomini è importanti­ssima: il bambino deve imparare a rispettare le donne. Senza farlo diventare un problema, senza imposizion­i, con l’esempio. La donna aiuta a costruire l’umanità: questo è un valore ahimé sbiadito. Se ci guardiamo indietro, a quando sono nata io, il cammino fatto dalle donne è gigantesco. A me però piace pensare, che in modi diversi da quelli odierni, le donne sono sempre state pilastri della società. Nella nostra civiltà le donne non sono mai state considerat­e assolute nullità, come capita di vedere in alcuni Paesi musulmani. Penso alle grandi madri, alle grandi artiste, perfino alle grandi etère!

Cosa manca alle donne, secondo lei?

Le donne si ritengono sicure e al sicuro grazie ai diritti, ma in realtà non sanno cosa sono i diritti. E spesso sono anche loro attratte dal sesso in maniera maniacale, fino al punto di mettersi in pericolo: ma benedette ragazze, pensate anche con chi andate al bar. La sicurezza di sé, poi, è la consapevol­ezza di chi si è – mai dimenticar­selo – ed è una coscienza fatta di quell’intelligen­za a cui accennavo prima, ma anche di attenzione, di rispetto di sé e dei propri gusti.

Con i suoi personaggi ha anche preso in giro il genere femminile, i tic, le manie, i limiti. Quale preferisce? Non so cosa mi piace di quello che ho fatto in passato: vivo più nel presente. Tornando ai personaggi, i due poli sono la Sora Cecioni e la signorina snob.

Lei assomiglia­va un po’alla signorina snob?

No, per carità... La mia famiglia era benestante ma non snob. Siamo stati forse gli ultimi esempi della vera borghesia, che era una classe raccomanda­bile e che è scomparsa con il suo amore per lo studio e i suoi valori. Sono molto grata ai miei genitori: a loro devo tante cose, tra cui la passione per la musica e per la cultura.

Quali sono stati i suoi modelli femminili?

Attrici favolose che erano primedonne prima di me: Rina Morelli, Sara Ferrati, Lilla Brignone. E poi mia madre. Si chiamava Cecilia, un nome fatale per me anche se a lei non piaceva tantissimo: ho sempre amato la musica e Cecilia è la Santa della musica. La mamma mi portava alla Scala che avevo sì e no sette anni. Milano era meraviglio­sa, ho sempre abitato in centro, in via della Spiga e in via Visconti di Modrone. La parte antica della città, pur non essendo antichissi­ma, era splendidam­ente tenuta. Milano un po’ mi manca anche perché sento dire che è molto in forma.

Scappatell­e matrimonia­li Se la donna tradisce è grave I mariti no, non si può levargli quelle sciocchezz­e che li fanno contenti

La legge Merlin Ci domandavam­o allora se era così urgente disseminar­e le strade di puttane, però lo Stato non poteva continuare a riconoscer­e quegli istituti

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 ?? Ansa ?? Sul set Franca Valeri con Sophia Loren nel 1955 in un fotogramma del film “Il segno di Venere” di Dino Risi
Ansa Sul set Franca Valeri con Sophia Loren nel 1955 in un fotogramma del film “Il segno di Venere” di Dino Risi

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