GIORGIA È LA MATRONA DI UNA DESTRA ALLA PAJATA
Il problema della destra è Roma. Giorgia Meloni attacca Gianni Alemanno, quest’ultimo s’appiccica con lei e l’i m p os s i b ilità di avere un partito solido da offrire alla stragrande maggioranza degli italiani che non sono di sinistra – tanti, i conservatori – si conferma nella maledizione antica: ricondurre tutto il riscatto sociale dei proletari tricolori a tribalismi alla vaccinara.
Manca la contemporaneità, difetta il progetto. Solo slogan e pop art se si pensa a quanto è efficace e simpatica la leader. Ma lo è tanto quanto telegenico, convincente e perfetto era lo sciagurato Gianfranco Fini. Ed è il vero danno degli eredi di Giorgio Almirante: la pesca delle occasioni. Mai che si faccia la politica, ma sempre e solo campagna elettorale. Come ripete sempre Raimondo Lazzano, militante da sempre, “ci chiamano solo per attaccare al muro i loro manifesti nel frattempo che si fanno eleggere in Parlamento”.
I Fratelli d’Italia non riuscivano a fare le liste in Sicilia dove la destra è egemone. Si sono dovuti aggregare all’onda mediatica di Matteo Salvini – lo hanno ovviamente vampirizzato – e non è neppure vero che Nello Musumeci, come ancora ieri ha detto Giorgia Meloni ad Antonello Caporale, sia stato indicato da loro.
A turno, tutti – anche il Cavaliere – mettono cappello sopra il neo governatore siciliano ma quello, pur vecchio missino, ha un solo riferimento: Stefano Parisi.
La legge elettorale mantiene FdI marginale. La competizione vera sarà tra Berlusconi e Salvini la cui scalata, a destra, trova agio in ambienti ben più vivaci che il pollaio romano, tipo Ostia, dove tutta una realtà di destra neppure è andata a votare. Invece che triturarsi con le beghe da pajata, i Fratelli d’Italia, ascoltassero Ignazio La Russa che già quando Meloni si schierò contro il referendum per l’Autonomia in Lombardia, ebbe chiaro il tutto: “E poi dice che i nostri se ne vanno tutti con Salvini...”.