Le false notizie, la post-verità e la coscienza
“Oggi più che in passato l’invasione dei mezzi di comunicazione richiede la cura dello sviluppo della persona” (da “Conversazioni notturne a Gerusalemme” di Carlo Maria Martini – Mondadori, 2008 – pag. 50)
Se si trattasse soltanto di una questione tra Renzi e Di Maio, potremmo anche lasciarla gestire a Giovanni Floris nel suo talk-show televisivo o in qualche gioco di società. Ma la controversia sulle fake news, false notizie o bufale che dir si voglia, non riguarda esclusivamente il Pd e il Movimento 5 Stelle, bensì tutti noi cittadini ed elettori. O almeno, tutti coloro che considerano l’informazione un presidio della democrazia e vogliono difenderla, anche al di là dei suoi limiti o difetti.
Ora non c’è dubbio che da quando a metà del Quattrocento il tipografo tedesco Johannes Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili, eliminando il potere degli antichi amanuensi e inaugurando così l’era della comunicazione moderna, è andata sempre più aumentando la circolazione delle notizie. E questo è stato senz’altro un bene per tutta l’umanità. Ma, contemporaneamente, è cresciuto in proporzione anche il rischio che le notizie possano essere false o sbagliate.
Bisogna distinguere, però, fra le due categorie. Non si può fare di tutte le erbe un fascio, come tendono a fare i 5stelle, confondendo queste fattispecie in unico calderone polemico. Le notizie sbagliate sono purtroppo all’ordine del giorno, e non solo in Italia, ma derivano da un errore commesso in buona fede – fino a prova contraria – da chi fornisce un’informazione inesatta, imprecisa o infondata, travisando così un dato oggettivo. Quelle false, invece, sono prefabbricate, manipolate, artefatte, per modificare e alterare volontariamente la realtà.
PUÒ SEMBRARE FORSE un po’ scolastica o pedante questa distinzione. Ma è necessaria per non dare false notizie sulle false notizie. Altrimenti, è come confondere il dolo e la colpa, un delitto volontario e uno involontario: fa differenza, per esempio, investire con l’automobile un pedone per ucciderlo oppure per una manovra sbagliata o per distrazione.
È giusto, allora, chiedere – come qui abbiamo già fatto in passato – che anche all’informazione online, e più in generale a tutte le forme di comunicazione, vengano applicate le regole che valgono per i reati a mezzo stampa: dalla diffamazione alla calunnia e quant’altro. Magari adeguandole ai tempi, visto che risalgono al 1948; e in particolare ai mezzi e alle tecnologie di oggi, con tutte le differenze e le difficoltà connesse all’amplificazione mediatica. Ma non si può imporre la sordina alle Rete: qualsiasi forma di censura, oltreché illiberale e antidemocratica, sarebbe di fatto impraticabile.
Il vero nodo della questione, però, è un altro. Ed è riassunto nell’interrogativo che dà titolo a un articolo pubblicato nell’ultimo numero di Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti, a firma di Francesco Occhetta: “Tempo di post-verità o di post-coscienza?”. Il primo è, appunto, il tempo delle false notizie; il secondo è quello che “non sa più riconoscere e distinguere il vero dal falso e il bene dal male”, come scrive l’autore. Un “sonno della ragione”, insomma, che offusca la coscienza sociale.
Spetta dunque a noi, alla responsabilità di ciascuno di noi, giornalisti o no, comunicatori professionali o meno, blogger, frequentatori della rete e dei social network, scegliere se “macinare grano o zizzania” nel mulino della comunicazione. E cioè, mettere in circolo notizie vere o notizie false, buone o cattive notizie, più le une o più le altre. Questo è l’unico antidoto efficace per neutralizzare il veleno delle fake news.