“Agromafie, scelta sbagliata: controlli necessari”
L’ex procuratore: “L’obbligo del certificato antimafia per avere i fondi Ue non va derogato”
“Non c’è dubbio che la stragrande maggioranza degli imprenditori agricoli sia assolutamente onesta, peraltro da anni l’osservatorio che presiedo registra una intensificazione della presenza delle mafie in agricoltura: l’estensione dei controlli antimafia alle imprese agricole è da condividere perché non possiamo consentirci il lusso di lasciare varchi aperti e le leggi, per quanto giuste, devono avere gambe su cui camminare, altrimenti sono inutili o addirittura controproducenti”.
Gian Carlo Caselli, magistrato antimafia di lungo corso, con una carriera a capo delle Procure di Palermo e Torino e dell’amministrazione penitenziaria, oggi presiede un osservatorio emanazione dell’associazione delle imprese aderenti alla Coldiretti sulle “agromafie”, le organiz- zazioni criminali che cercano di controllare la filiera agroalimentare. Il magistrato scuote la testa davanti all’emendamento alla manovra di Bilancio introdotto con il Milleproroghe, in cui si esime la stra- grande maggioranza delle aziende agricole dal presentare la certificazione antimafia per ottenere i ricchi finanziamenti europei messi a disposizione dalla Pac, la politica a- gricola comunitaria.
Nella manovra approvata dal Senato e che ora passa alla Camera si cancella l'obbligo di presentare il certificato antimafia, introdotto solo pochi mesi fa dal nuovo codice, per le imprese che rientrano entro il tetto dei 25 mila euro di finanziamenti, che ne pensa?
Prima del nuovo codice antimafia la documentazione era richiesta soltanto per i beneficiari di aiuti da 150 mila euro in su, in tutto erano circa 2.129. Con la nuova normativa la richiesta viene estesa effettivamente a oltre un milione e 200 mila imprese se si aggiungono anche altri soggetti pagatori e certo si pone realisticamente il problema se le strutture statali preposte siano attualmente adeguate. Con l'emendamento al Milleproroghe il problema viene risolto tornando al passato e togliendo l'obbligo della certificazione a circa 900 mila aziende.
Se per carenza di personale e strutture non fosse possibile rilasciare tempestivamente la certificazione antimafia, con conseguente sospensione dei pagamenti, i rischi sono purtroppo evidenti: collasso di un settore portante de ll ’ e con om ia nazionale; crisi di liquidità che certamente sarà sfruttata dalla mafia per nuove acquisizioni; penalizzazione per i cittadini onesti.
Quella imboccata dal Parlamento e dal governo è la strada giusta?
Secondo la mia personale opinione si dovrebbe tenere ferma la normativa prevista nel nuovo codice antimafia, ma con una entrata in vigore ragionevolmente scaglionata nel tempo, per consentire la predisposizione di una strumentazione, regolamentare ed informatica che assicuri la tempestività dell’accesso alle informazioni antimafia, con il conseguente obbligo di Agea, (l'agenzia per le erogazioni agricole ndr) e degli altri organismi “pagatori” di evadere una gran massa di richieste in termini compatibili perché chi ha dirit- to agli aiuti comunitari li ottenga in tempo utile. Ridurre in questo modo la platea delle aziende con l'obbligo di certificazione non sarebbe un favore alla criminalità organizzata? L’Agea ha stimato un fabbisogno di oltre 300 figure professionali da adibire alla trattazione delle nuove procedure e altre 300 figure dovrebbero essere impiegate nel ministero degli Interni, già in difficoltà per l’applicazione del codice degli appalti: si può fare e non sarebbe un favore alle agromafie, ma un atto di responsabilità dello Stato verso chi opera nella legalità, evitando che possa diventare un bersaglio ghiotto per la criminalità; è ora compito della Camera, che dovrà valutare il recente intervento del Senato, trovare un ragionevole punto di equilibrio fra le diverse esigenze.
È necessario però che l’entrata in vigore della certificazione sia scaglionata nel tempo, per predisporre personale e strumenti