Tra libanesi e israeliani, in mezzo c’è “L’insulto”
Il regista ha perso tre fratelli che combattevano con l’Olp ma per il governo è un “traditore ”
Ci sono film che andrebbero girati due volte. Una per raccontare la storia voluta dal regista, un’altra per rendere conto di tutto ciò che è successo dopo. Il trascinante L’insulto, del libanese Ziad Doueiri è uno di questi film a due stadi che piomba come un missile nella polveriera mediorientale abbattendo vecchi schieramenti e dannosi luoghi comuni. Di ritorno da Venezia Doueiri è stato fermato e interrogato dalle autorità di Beirut. Rischiava dieci anni di galera. Non per il film premiato al Lido ma per il precedente The Attack, girato in Israele, cosa proibita a un libanese. Il bello, anzi il brutto della faccenda, è che la denuncia veniva dal gruppo BDS, Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni. Una campagna contro Israele sostenuta da icone come Ken Loach, Brian Eno o Roger Wa- ters (“formalmente di sinistra ma fascisti nel metodo” dice Doueiri), che ha messo all’indice il cineasta per una ragione incredibile. Ne L’insultoinfatti la banale lite fra un cristiano libanese e un lavoratore palestinese innesca una guerra in tribunale che rischia di risvegliare odi sepolti dai tempi della guerra civile.
“VOLEVO RENDERE quotidiana e comprensibile una materia oscura e aggrovigliata”, racconta Doueiri. “Ma ho pestato qualche piede e infranto un tabù. Quello per cui i palestinesi sono vittime assolute e guai a rimproverargli il minimo torto. Per questo BDS mi ha denunciato. Hanno usato The Attack per tentare di bloccare L’insulto. Senza aver visto il film né sapere niente di me, cresciuto in una famiglia di musulmani non praticanti di sinistra. Mia madre, avvocato, consulente legale del film, ha passato la vita a difendere i palestinesi. Tre miei cugini sono addirittura morti combattendo con l’Olp nel 1976. E invece eccomi etichettato come antipalestinese! Solo perché L’i n su l t o rievoca la rimossa strage di Damour, un paese cristiano attaccato dalle truppe dell’Olp nel’76, 500 morti e 22.000 profughi. Ma il mio è un dramma giudiziario, non un manifesto politico, e la rivelazione dell’eccidio palestinese ha una funzione drammaturgica, non è certo una presa di posizione”. Paradosso: L’insulto è così abile ed equidistante che il governo libanese ha voluto inserire un cartello nei titoli di testa in cui prende le distanze dal regista. “Serve anche a evitare sommosse. In Libano la situazione è sempre incendiaria” d ic e Doueiri, che da anni ormai vive a Parigi con la moglie Joelle Touma, ora ex-moglie ma fedele cosceneggiatrice. Fedele e decisiva, visto che viene da ambienti cristiani di estrema destra. “È stata lei a darmi l’idea del film. Scriverlo è stato come aprire una diga. Le idee venivano giù a cascata. Ma ci siamo scambiati i ruoli. Lei doveva difendere il palestinese, io il cristiano”.
COSÌ L’insulto, che rappresenta il Libano agli Oscar con ottime probabilità di finire in cinquina se non vincitore, è primo al botteghino nel suo paese, “ma purtroppo viene visto solo nei quartieri cristiani”, sospira Doueiri. Che comunque rifiuta il facile giochino del cui prodest. Nemmeno se a rimproverarlo è sua mamma.
“Quando ha saputo che per le mie ricerche avevo incontrato il leader di un partito di estrema destra è caduta in depressione, ha smesso di telefonarmi e di spedirmi manicaretti. Ma ho tenuto duro. Ed è stata magnifica quando mi hanno fermato dopo Venezia! Sempre al mio fianco, un grande avvocato”. Intanto Doueiri accompagna il suo film nei paesi arabi. “The Attack fu proibito ovunque fuorché in Marocco. L’i n s ul t o è stato bloccato solo a Ramallah. Altrove è stato visto e applaudito”. Chissà cosa accadrebbe se in quegli stessi paesi potessero scoprire film come La banda, Valzer con Bashir, Lebanon, Il giardino di limoni. Tutti molto filopalestinesi ma israeliani. Dunque, assurdità, proibiti.