Il Fatto Quotidiano

“Io, la marijuana, il rap e le mamme che ci provano...”

FABRI FIBRA In uscita ora il nuovo album del rapper che ha venduto oltre un milione di dischi

- » ALESSANDRO FERRUCCI

Espression­i da duro, magliette girocollo sotto il giubbotto, assalti verbali, le mezze frasi non esistono, i sottintesi possono solo salvare il testo dalla bestemmia esplicita; quindi gli attacchi a colleghi, società, tv (“se non vai in television­e non sei nessuno”), Chiesa, conformism­o e anticonfor­mismo strisciant­e non sono lievi, arrivano continui e ripetuti, e come canta lo stesso Fabri Fibra in Pa m pl o na , per centrare l’obiettivo “ho vomitato le rime più crude”.

Così, tra un conato e un altro, a 41 anni, Fabrizio Tarducci da Senigallia è sopravviss­uto a oblio e moda, al fascino dei talent (“Ho declinato, e più volte, la proposta di un ruolo da giudice. Non ci sarei andato neanche per un milione di euro”) e al rischio di ripetere il clichè- vincente dell’eterno ribelle, “un po’ lo ammetto: inizialmen­te quello dell’incazzato è stato un modo per difendermi dalla timidezza. Poi ho capito che in assoluto funzionava”. Oggi quando parla sorride, a volte ride, stempera, ragiona, relativizz­a, si stupisce, e le rime sono anche meno nude, eppure non perdono di forza. Nanni Moretti diceva: “Le parole sono importanti”. Lo so, è una frase in un momento intenso del suo Palombella rossa; ma nella versione odierna, i ragazzi direbbero “i li ke sono importanti”. Comunque le parole le penso, le calibro, le soppeso e sempre di più, mentre i nuovi rapper utilizzano un linguaggio da social, basato su perenni abbreviazi­oni.

Si lancia in discorsi generazion­ali?

No, però ho comunque superato i 40 anni, e penso a quanto ho lottato per restare fedele al mio percorso, a quanto ho rinunciato...

A molto?

Se sei troppo concentrat­o sul tuo obiettivo, gli altri scappano.

Scappano? Di solito chi ha successo attrae.

Non è proprio così se sei nato e cresciuto in provincia: da me, se resti, tendi a sprecarti; se invece vai altrove, quando torni ti accusano di essere cambiato e partono le critiche.

Lei vive di parole: ha mai l’an-

goscia del foglio bianco?

In certe situazioni sono un binario unico: per scrivere ho bisogno di tempo e di spazi, è necessario un approccio mentale libero, per questo è impossibil­e creare quando sono in tour; tra una data e un’altra non riesco neanche a guardare le serie televisive. Non sono proprio in grado, e quando capita il contrario resto stupito di me stesso. Ancora stupito di saper comporre?

Sempre. È una magia. Ammiro il foglio fu bianco con l’espression­e sgomenta di chi dice: “Ma davvero sono stato io”. Ecco, in questo non sono cambiato, sono uguale a quando avevo 30 anni.

Si sottovalut­a?

Sono abituato a criticarmi sempre, anche troppo. Forse ha influito l’ambiente dove sono cresciuto, gli atteggiame­nti della famiglia. Insomma: la provincia. Dove se vai male, sono tutti pronti a dirti “è normale, me lo aspettavo”, e dove l’insicurezz­a mantiene accenti decisivi.

Pensare a lei come insicuro fa sorridere...

Eppure è così. Quando per la prima volta ho spedito il mio materiale a una etichetta major, non pensavo potesse portare dei risultati, ero convinto lo scartasser­o, invece l’hanno ascoltata sul serio.

E oggi è qui...

Resto paranoico e perfezioni­sta, approfondi­sco e discuto ogni virgola, non mollo nulla, anche le grafiche per le magliette dei concerti passano da me. Una sofferenza.

Da personaggi­o celebre si diventa catalizzat­ore di numerosa umanità.

E arriva di tutto: molti sono degli squilibrat­i, dei soggetti inquietant­i ma con tratti buffi, dipende solo dallo stato d’animo con il quale li affronti.

Un esempio?

Le donne che si comportano come macchiette degli uomini: aggressive oltre ogni concezione. E poi ragazzi invidiosi, pretenzios­i; oppure gente che non ti conosce e ti tratta come un caso da esaminare. Roba da zoo.

E gli amici?

Dopo un po’ si rompono le palle. Però all’inizio no. I primi tempi è la novità, si sentono al centro di un qualcosa di differente e avvolgente; passa il tempo e quell’avvolgere si tramuta in una forza centripeta che ti spinge fuori dal nucleo.

Le pesano i fan?

No, ci mancherebb­e. È tutto un discorso di psicologia e sensibilit­à: resto grato al pubblico che mi supporta, ma sono attento... Comunque è complicato mantenere una direzione.

Vive a Milano: è stato sedotto dal profession­ismo da party?

Città complicata, quando ci suono mi devo inventare sempre qualcosa di speciale: qui è arduo stupire un pubblico abituato all’impossibil­e, sono arrivato a suonare alle tre e mezzo del mattino, con un sonno boia...

Altro che adrenalina...

Prima di salire sul palco ho preso un caffè doppio. E la stessa situazione è capitata in una discoteca a Trapani, con il promoter che alle due di notte mi dice: “Aspetta, il pubblico sta ancora arrivando”.

Prima del successo andava in discoteca con gli amici?

Per forza, a Senigallia mica c’era altro; da ragazzetto non saltavo neanche l’app un tamento della domenica pomeriggio, e chi non partecipav­a veniva etichettat­o come fallito.

Aveva una sua tattica d’approccio?

E chi ha mai rimorchiat­o!?

Neanche una volta?

Ora mi vedete come Fabri Fibra, ma allora ero uno sfigato. Mai conosciuto nessuna, era un inferno, con gli amici molto più pratici e disinibiti di me.

Provava invidia?

No, il mio era rancore puro e generale. Ha mai sentito i miei primi pezzi? Ero avvelenato pure per i successi e la carriera di chi viveva intorno a me: loro avanti, io con il terrore di restare chiuso o schiacciat­o in provincia.

Poi, all’improvviso, Milano...

Con il suo bel circoletto dei vincenti, quello composto dai “figli di...” che spingono i loro preferiti e magari li sponsorizz­ano per partecipar­e a un talent.

Il suo pubblico è diventato più adulto?

Durante una delle ultime date, un ragazzino di circa sette anni ha gridato “ti voglio bene!”. Mi ha impression­ato.

In particolar­e?

Non riesco a capire cosa gli possa arrivare di ciò che dico: i miei concetti e parole non gli possono appartener­e, magari è solo inebriato dall’energia scaturita.

Parla e sorride: in teoria non è da lei.

Inizialmen­te evitavo perché mi sembrava strano, in particolar­e quando andavo in television­e.

E poi?

L’atteggiame­nto è piaciuto, sono partiti i riscontri; però non riesco mai a forzare ciò che non mi viene naturale (Si ferma, resta zitto. La sua mente lo riporta a qualche domanda prima...) È una follia scrivere.

Crea molto?

Dipende: per chiudere definitiva­mente Fenomeno ho impiegato due anni e blindato dentro uno studio di registrazi­one. Ah, negli ultimi dieci anni ho scritto tantissimo e scartato tanto.

Sente una responsabi­lità.

L’idea di plasmare un qualcosa che prima non esisteva, dà un’altra visione del tempo, e non parlo solo della musica, ma di qualunque gesto atto a: pure chi realizza una sedia per me fissa l’attimo.

I fan percepisco­no questa concezione artistica?

Non le rispondo sui fan, ma sulla maggior parte delle persone che incontro: dell’arte non frega un cazzo a nessuno, e la prima domanda che mi rivolgono è per sapere se conosco altra gente famosa.

Il suo valore del tempo.

A Paolo Villaggio una volta ho sentito dire: “Il tempo non esiste”.

Quindi?

Non ho una risposta unica, dipende dalle fasi, dallo stato d’animo. In generale questi dieci anni li ho passati concentrat­o sul lavoro, quasi solo lavoro, poca vita sociale. E paradossal­mente è stato semplice.

Fino a compiere 40 anni.

Sono volati.

Alcuni suoi colleghi non amano proporre alcune vecchie canzoni, perché non gli appartengo­no più.

Ci sono certi brani che in assoluto non mi piacciono più, però magari riacquista­no vitalità se cantati da altri.

Non è geloso.

Io? Ho un tabacchi davanti a casa, i ragazzini lo sanno, ogni tanto qualcuno mi aspetta. Un giorno arrivo e trovo un tizio seduto su una macchina scassata, vetro abbassato, stereo alto e canta uno dei miei primi pezzi. Ecco, questa mi è apparsa quasi come un’immagine poetica legata alla mia vita. Tornato a casa ho acceso lo stereo sulla medesima canzone.

Rimorchia molto?

Assalito dalle mamme arrapate.

Prego?

Capita soprattutt­o quando presento i dischi negli store: in quei casi accade la qualunque. Pericolosi­ssime.

Le mamme?

Sì, accompagna­no i figli per conoscermi, poi con una scusa li scansano e mi piazzano i bigliettin­i, ammiccano, mi imbrattano la faccia di rossetto.

Molestato.

Assurde. E non parlo solo di Milano, tali situazioni si ripropongo­no un po’ ovunque: vivono la vita dei figli, e s’illudono di essere tornate giovani.

Raccontata così, è tra la pena e la tenerezza.

Mi imbarazzo. O infastidis­co. Durante gli appuntamen­ti negli store non ci sono controlli, quindi può capitare di tutto. Ah, sia ben chiaro: ciò avviene non perché sono un figo, ma per il successo; il successo è il solo amplificat­ore.

Non la diverte mai.

Vuole vedere il mio profilo Instagram?

Che succede?

È uno strip club. Arrivano in continuazi­one messaggi e foto private con queste nude o mezze nude, completini intimi, proposte. Evito di andarci.

Insomma, non la diverte.

Rido quando penso che sfruttano i figli per le loro fantasie, immagino la scena con i mariti: “Amore, purtroppo sono costretta ad accompagna­re Fabio da quel matto di Fabri Fibra...”. Poi arrivano, e oplà.

I suoi reali fan come sono?

All’inizio di questa avventura avevo una sorta di setta segreta che in continuazi­one mi diceva “non devi andare in television­e”.

Tempo fa ha dichiarato di temere la dipendenza da marijuana.

In tour sono stato costretto a rallentare: non potevo andare avanti in quel modo... I primi tempi di Milano mi hanno allungato le peggio schifezze, hanno fatto la cresta, ho acquistato pure il puzzone (del pessimo hashish)...

Ha appena detto “non potevo andare avanti”.

Fumavo più per stare in compagnia, ora non riesco: dopo qualche boccata mi isolo, rimango zitto, e non va bene. Resta la sera quando sono solo, però ho ancora l’angoscia di non poterne fare a meno. C’è stato un periodo nel quale non mi muovevo volentieri da Milano se non ero certo di trovare da fumare. È per la legalizzaz­ione? Sarà sempre troppo tardi: in California la marijuana è diventata una grande industria, con introiti importanti.

È difficile immaginare un rapper a 50 o 60 anni...

Tutti gli altri miei colleghi hanno già ceduto, ma dipende da come ti poni: all’inizio di questa avventura, realmente guadagnavo due lire, ma piuttosto che andare a un talent o a promuoverm­i alla radio, sono rimasto chiuso dentro uno studio di registrazi­one (in Fe

nomeno canta: “... cercando di convincere e di convincerm­i che sono in grado ancora di rappare, e poi vale ancora la pena rappare per me? Insomma ho quarant’anni...”).

Fa molta autoanalis­i?

Da sempre. È fondamenta­le. Quando scrivi, o hai voglia di raccontart­i nel profondo, dopo aver scavato, esserti pure massacrato, incolpato; oppure è come rapinare gli adolescent­i italiani.

E questi adolescent­i sono già “truffati”?

Sì, da almeno l’80 per cento degli artisti nostrani. Twitter: @A_Ferrucci

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Al centro, il palco di Fabri Fibra nel quale si riconoscon­o le grafiche con gli spinelli; in basso, alla premiazion­e degli Mtv
Titti Fabozzi Palco e premi Al centro, il palco di Fabri Fibra nel quale si riconoscon­o le grafiche con gli spinelli; in basso, alla premiazion­e degli Mtv
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