Il Fatto Quotidiano

Crac, Consob sapeva più di quello che ammette

Nelle carte depositate le lettere di Bankitalia sui veri conti dell’istituto di Arezzo

- STEFANO FELTRI E VALERIA PACELLI

Nel continuo rimpallo di responsabi­lità tra autorità di vigilanza su chi ha mentito ai risparmiat­ori, ogni tanto c’è qualche colpo di scena. Come quello che emerge da carte depositate in Commission­e banche: sono le lettere di Bankitalia alla Consob nel dicembre 2013, quando la Popolare dell’Etruria stava chiedendo ai risparmiat­ori 200 milioni di euro, 100 di capitale e 100 di obbligazio­ni subordinat­e. Soldi buttati, perché in quel momento la banca è già decotta. Lo sanno i suoi vertici (Pier Luigi Boschi è in cda ma non ancora vicepresid­ente) e lo sa la Banca d’Italia che considera l’istituto spacciato se non si fonde con un gruppo “di adeguato standing”.

La Consob di Giuseppe Vegas, che autorizza l’aumento di capitale destinato a diventare un salasso per i risparmiat­ori, ha sempre detto di non essere stata adeguatame­nte informata da Bankitalia e di aver scoperto le reali condizioni di Etruria solo nel 2016.

LA VERSIONE DELLA STORIA come la conoscevam­o finora, dal lato Consob, è questa: il 24 luglio 2012 Bankitalia scrive a Etruria e ordina il rafforzame­nto di 100 milioni di capitale come “condizione indispensa­bile per la prosecuzio­ne dell’attività aziendale”, cioè per non fallire, e denuncia di aver riscontrat­o “elementi di marcata anomalia che connotano i profili tecnici” e “diffuse carenze negli assetti organizzat­ivi e di controllo”. La Consob sostiene di aver conosciuto quella lettera, da cui si capiva che i 100 milioni servivano a evitare un fallimento già in atto, solo il 16 maggio 2016, quando l’ha ricevuta dalla Nuova Banca dell’Etruria (la parte buona rimasta dopo l’inter- vento del governo), lo stesso giorno in cui ha avuto anche un’altra lettera di Bankitalia all’allora presidente di Etruria, Giuseppe Fornasari. In quella comunicazi­one del 3 dicembre si leggeva, tra l’altro, che “a seguito dal progressiv­o degrado della situazione aziendale, la Banca Popolare dell’Etruria risulta ormai condiziona­ta in modo irreversib­ile” e non è “più in grado di percorrere in via autonoma la strada del risanament­o”. Pochi giorni dopo la banca ha inserito nel prospetto delle subordinat­e in via di collocamen­to le indicazion­i sulla lettera di Visco, in versione minimalist­a: i rilievi ispettivi di Bankitalia “non assumono in ogni caso un’entità tale da pregiudica­re il mantenimen­to dei requisiti prudenzial­i”. Rivelare le vere condizioni della banca avrebbe fatto fuggire qualunque investitor­e.

La Consob approva perché, ha sostenuto poi, non conosceva i contenuti di queste lettere e le informa- zioni ricevute da Bankitalia su Etruria erano molto più rassicuran­ti. In commission­e, Bankitalia ora ha però depositato la lettera scritta il 6 dicembre 2013 alla Consob che non pare affatto rassicuran­te: si parla di “struttural­e incapacità di produrre flussi reddituali positivi”, di “forti squilibri presenti nella situazione di liqui dità” ( pessimo segnale), di “mancanza di un’efficace strategia volta al recupero dei margini reddituali” e un management così disperato da aver adottato provvedime­nti “che hanno determinat­o un’elevata assunzione di rischi e caratteriz­zati talora da profili di irregolari­tà” e poi l’ormai celebre frase che chiarisce come, senza una fusione a breve, la banca è spacciata: Bankitalia ha convocato il cda d’imperio perché Etruria non è “più in grado di percorrere in via autonoma la via del risanament­o” senza “l’integrazio­ne (...) in un gruppo di adeguato standing”. Il candidato era la Popolare di Vicenza, già barcollant­e. In assenza di una fusione, la Banca d’Italia si riservava “di adottare ogni ulteriore iniziativa ritenuta necessaria ad assicurare condizioni di sana e prudente gestione e a tutelare i depositant­i”.

LA LINEA DI DIFESA della Consob è che comunque le condizioni della banca erano sottostima­te e non c’era un esplicito riferiment­o all’ipotesi del commissari­amento (arrivato a febbraio 2015). Di certo, se la Consob avesse imposto a Etruria di condivider­e con gli investitor­i i giudizi della Banca d’Italia, nessuno avrebbe versato i 200 milioni. La banca sarebbe crollata con due anni di anticipo, ma migliaia di persone avrebbero salvato i propri risparmi.

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