Crac, Consob sapeva più di quello che ammette
Nelle carte depositate le lettere di Bankitalia sui veri conti dell’istituto di Arezzo
Nel continuo rimpallo di responsabilità tra autorità di vigilanza su chi ha mentito ai risparmiatori, ogni tanto c’è qualche colpo di scena. Come quello che emerge da carte depositate in Commissione banche: sono le lettere di Bankitalia alla Consob nel dicembre 2013, quando la Popolare dell’Etruria stava chiedendo ai risparmiatori 200 milioni di euro, 100 di capitale e 100 di obbligazioni subordinate. Soldi buttati, perché in quel momento la banca è già decotta. Lo sanno i suoi vertici (Pier Luigi Boschi è in cda ma non ancora vicepresidente) e lo sa la Banca d’Italia che considera l’istituto spacciato se non si fonde con un gruppo “di adeguato standing”.
La Consob di Giuseppe Vegas, che autorizza l’aumento di capitale destinato a diventare un salasso per i risparmiatori, ha sempre detto di non essere stata adeguatamente informata da Bankitalia e di aver scoperto le reali condizioni di Etruria solo nel 2016.
LA VERSIONE DELLA STORIA come la conoscevamo finora, dal lato Consob, è questa: il 24 luglio 2012 Bankitalia scrive a Etruria e ordina il rafforzamento di 100 milioni di capitale come “condizione indispensabile per la prosecuzione dell’attività aziendale”, cioè per non fallire, e denuncia di aver riscontrato “elementi di marcata anomalia che connotano i profili tecnici” e “diffuse carenze negli assetti organizzativi e di controllo”. La Consob sostiene di aver conosciuto quella lettera, da cui si capiva che i 100 milioni servivano a evitare un fallimento già in atto, solo il 16 maggio 2016, quando l’ha ricevuta dalla Nuova Banca dell’Etruria (la parte buona rimasta dopo l’inter- vento del governo), lo stesso giorno in cui ha avuto anche un’altra lettera di Bankitalia all’allora presidente di Etruria, Giuseppe Fornasari. In quella comunicazione del 3 dicembre si leggeva, tra l’altro, che “a seguito dal progressivo degrado della situazione aziendale, la Banca Popolare dell’Etruria risulta ormai condizionata in modo irreversibile” e non è “più in grado di percorrere in via autonoma la strada del risanamento”. Pochi giorni dopo la banca ha inserito nel prospetto delle subordinate in via di collocamento le indicazioni sulla lettera di Visco, in versione minimalista: i rilievi ispettivi di Bankitalia “non assumono in ogni caso un’entità tale da pregiudicare il mantenimento dei requisiti prudenziali”. Rivelare le vere condizioni della banca avrebbe fatto fuggire qualunque investitore.
La Consob approva perché, ha sostenuto poi, non conosceva i contenuti di queste lettere e le informa- zioni ricevute da Bankitalia su Etruria erano molto più rassicuranti. In commissione, Bankitalia ora ha però depositato la lettera scritta il 6 dicembre 2013 alla Consob che non pare affatto rassicurante: si parla di “strutturale incapacità di produrre flussi reddituali positivi”, di “forti squilibri presenti nella situazione di liqui dità” ( pessimo segnale), di “mancanza di un’efficace strategia volta al recupero dei margini reddituali” e un management così disperato da aver adottato provvedimenti “che hanno determinato un’elevata assunzione di rischi e caratterizzati talora da profili di irregolarità” e poi l’ormai celebre frase che chiarisce come, senza una fusione a breve, la banca è spacciata: Bankitalia ha convocato il cda d’imperio perché Etruria non è “più in grado di percorrere in via autonoma la via del risanamento” senza “l’integrazione (...) in un gruppo di adeguato standing”. Il candidato era la Popolare di Vicenza, già barcollante. In assenza di una fusione, la Banca d’Italia si riservava “di adottare ogni ulteriore iniziativa ritenuta necessaria ad assicurare condizioni di sana e prudente gestione e a tutelare i depositanti”.
LA LINEA DI DIFESA della Consob è che comunque le condizioni della banca erano sottostimate e non c’era un esplicito riferimento all’ipotesi del commissariamento (arrivato a febbraio 2015). Di certo, se la Consob avesse imposto a Etruria di condividere con gli investitori i giudizi della Banca d’Italia, nessuno avrebbe versato i 200 milioni. La banca sarebbe crollata con due anni di anticipo, ma migliaia di persone avrebbero salvato i propri risparmi.