Banche stile Bebawi: tutti complici, nessuno confessa
Cinquant’anni fa, in mancanza di crisi bancarie, l’Italia si appassionò del caso Bebawi. I coniugi egiziani Youssef e Claire Bebawi furono accusati di aver ucciso a Roma l’ex amante di lei, il 27enne Faruk Chourbagi. Difesi da due principi del foro, Giuliano Vassalli per lui e Giuseppe
Sotgiu per lei, adottarono una tattica geniale: si accusarono a vicenda per
142 udienze finché la Corte d'assise fu costretta ad assolvere entrambi per insufficienza di prove, anche se erano evidenti complicità e colpevolezza. Questo archetipo giudiziario può aiutarci a capire quanto sta accadendo attorno alla commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche. I complici di ieri oggi si accusano a vicenda. I risparmiatori accusano il governo guidato da Matteo Renzi, che accusa la Banca d'Italia, che accusa i magistrati lenti, mentre il procuratore di Arezzo Roberto Rossi accusa la Banca d'Italia. Il governatore Ignazio Visco accusa Rossi di essere al servizio di Renzi, il direttore generale della Consob Angelo Apponi ha accusato Bankitalia di avergli nascosto l’incipiente decozione della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, mentre due anni fa, quando i risparmiatori di Etruria persero i loro risparmi, la Banca d’Italia disse che era colpa della Consob. Però Bankitalia e Consob, insieme, accusano i banchieri incompetenti o in malafede. La commissione parlamentare d’inchiesta è una corrida. Qualcuno la usa per fare propaganda. Chi cerca in buona fede di capire fatica a districarsi tra le decine di migliaia di pagine di documenti e le furbizie degli “auditi”: agli atti parlamentari vengono consegnate verità di comodo e dichiarazioni reticenti quando non mendaci.
Un consiglio a chi è disorientato e non sa a chi dare ragione: applichi il modello Bebawi. Sono stati tutti complici e tutti hanno sempre saputo tutto. Chi lo nega merita la celebre risposta di Bettino Craxi (un corrotto con il merito di aver denunciato il metodo Bebawi dei suoi complici): “Vallo a raccontare a tua sorella”. Banchieri sponsorizzati dai politici davano crediti allegri agli amici degli amici, spesso raccomandati dai politici, la vigilanza faceva finta di non vedere perché i governatori li sceglie la politica e in Italia chi rompe le palle non fa carriera. Il sistema è andato in tilt con la crisi finanziaria del 2007, la vigilanza ha usato la mano morbida per non far fallire gli istituti scassati e dar loro modo di rimettersi a posto con la ripresa dell’economia. La crisi però anziché finire si è aggravata nel 2012 per la cura da cavallo del governo Monti. Le banche malate hanno cominciato a rantolare. In nome della stabilità la Banca d’Italia ha incoraggiato gli istituti a truffare i risparmiatori con le loro azioni bacate e le famigerate obbligazioni subordinate. La Consob fingeva di non vedere, Renzi e l’ineffabile ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan erano felici di poterci ammorbare ogni giorno con “il sistema bancario è sano”. Ognuno si parava le terga a futura memoria: la Consob chiedeva alla Banca d'Italia informazioni già note a tutti; la Banca d'Italia rispondeva con il “qui lo dico e qui lo nego, capisci a me”; i magistrati ricevevano le denunce (segrete) della vigilanza e aprivano con lentezza patologica (e segretamente) i fascicoli; il governo fingeva di rispettare la sacra indipendenza della Banca d’Italia. Solo una cosa è cambiata. I Bebawi misero in campo Giuliano Vassalli, i complici della crisi bancaria si fanno difendere da Matteo Orfini. Con il bel risultato che, accusandosi l’uno con l’altro, i miserabili residui di una classe dirigente disfatta da incapacità e immoralità hanno confessato: la Banca d'Italia era il mandante e i banchieri gli esecutori, la Consob faceva il palo, la magistratura non ravvisava, il governo era l’utilizzatore finale.