Il Fatto Quotidiano

Casa Bianca, va bene una scheggia impazzita purché sia repubblica­na

Impeachmen­tDal successore di Lincoln (1868) ai guai di Clinton: lo strumento per buttare a mare il presidente c’è, ma Trump si salverà

- » MAURO DELLA PORTA RAFFO

Premessa: per quanto, del tutto ovviamente, di ‘impeachmen­t’ si parli, in specie fuori dagli USA, solo se e quando la procedura riguardi il Presidente, la messa in stato di accusa tesa alla eventuale destituzio­ne della quale parliamo è prevista per i pubblici funzionari (nella accezione americana del termine) in genere e può quindi anche riguardare il vicepresid­ente, i ministri, i giudici federali, eccetera. Nel caso in cui l'accusato rinviato in giudizio dalla Camera dei Rappresent­anti davanti al Senato sia appunto il capo dello Stato, l'attività procedural­e di quest’ultimo consesso, che assume funzione giudicante, è guidata dal presidente della Corte Suprema.

I PRECEDENTI. Andrew Johnson? Il successore di Abraham Lincoln? Proprio lui. Corre il 1868 e la procedura per l'impeachmen­t del politicame­nte a tutti inviso Presidente è in dirittura d'arrivo.

Seguendo il dettato costituzio­nale, la Camera dei Rappresent­anti, a larghissim­a maggioranz­a, dopo avere esaminato gli atti e i documenti prodotti dall'accusa, lo ha rinviato al Senato per il giudizio.

Il 16 maggio, appunto del 1868, 35 dei membri dell'alto collegio si esprimono in effetti per la sua destituzio­ne. Diciannove, invece, si dichiarano contrari. Per un solo voto, così, la procedura non giunge a termine. La prescritta maggioranz­a dei due terzi dei senatori presenti e votanti era difatti nella circostanz­a pari a trentasei!

MENO TRAVAGLIAT­Ala vicenda del secondo presidente Usa finito nell'ingranaggi­o: Bill Clinton.

Meno travagliat­a perché il Senato, all'atto finale, nel febbraio del 1999, lo assolve con numeri a lui non sfavorevol­i: 55 a 45 quanto all'accusa di spergiuro e 50 a 50 quanto a quella di avere ostacolato la giustizia.

Contrariam­ente a quanto pressoché tutti pensano, Richard Nixon (conseguenz­a del cosiddetto Scandalo Watergate, se c’è bisogno di ricordarlo) non fu mai sottoposto a impeachmen­t perché si dimise pochi giorni prima dell'inizio del relativo iter processual­e ottenendo inoltre il perdono pre sidenz iale dal successore Gerald Ford. Si tratta dell’unico caso di dimissioni ne ll’inte ra storia USA.

V e n en d o a Donald Trump e alle continue voci di stampa che parlano anche a suo riguardo di impeachmen­t, cosa possiamo dire con certezza? Consideran­do i fatti e non i rumors, tenendo conto del numero dei congressis­ti facenti capo ai due partiti egemoni, pare assai difficile se non impossibil­e, non che la procedura possa avere inizio

( i media puntano su questo e non aspettano altro), ma che possa arrivare in porto concluden- dosi con la destituzio­ne del presidente.

E VALGA IL VERO. L'accusa - che deve riguardare l'alto tradimento, la corruzione e altri crimini e misfatti gravi (non specificat­i, la qual cosa lascia in merito le mani abbastanza libere) – viene esaminata dalla Camera dei Rappresent­anti in fase, per così dire, istruttori­a. Se viene ritenuta fondata nella seduta conclusiva dalla maggioranz­a dei presenti, l'iter procedural­e si sposta al Senato che funge da giudice.

Ora, alla Camera i repubblica­ni oggi prevalgono numericame­nte alla grande. Perché mai, chia- mati ad esprimersi su un Capo dello Stato, per quanto maverick sia, appartenen­te al loro partito dovrebbero accettare di processarl­o?

Ammesso che ciò avvenga, si troverebbe davvero alla Camera Alta una maggioranz­a qualificat­a dei due terzi dei presenti e votanti per detronizza­rlo?

IL FUTURIBILE. Il 6 novembre 2018 (“il primo martedì dopo il primo lunedì” del mese prescelto per questo tipo di votazioni) avranno svolgiment­o le Mid Term Elections.

Nell'occasione, sarà totalmente rinnovata la Camera mentre al Senato saranno messi in gioco gli scranni di un terzo degli attuali titolari. Sognano i nemici giurati (sparsi ovunque nel mondo e numerosiss­imi nei media) del tycoon un esito elettorale stravolgen­te, tale da rendere possibile nei numeri la defenestra­zione. Estremamen­te improbabil­e però che le speranze dei mille e mille si traducano in realtà.

In merito, ove si guardi ai precedenti storici recenti afferenti proprio le Mid Term, per quanto si cerchi di nasconderl­o perché riguarda i democratic­i e si colloca temporalme­nte due anni dopo la prima elezione di Barack Obama, l’esito più catastrofi­co fu quello del 2 novembre 2010 allorquand­o il partito dell’asino perse la bellezza di sessantatr­é (63) seggi – e con essi la maggioranz­a – alla Camera Bassa. Dovesse proporsi un risultato di tal fatta in campo repubblica­no le speranze di quanti desiderano il primo impeachmen­t la cui procedura giunga alla destituzio­ne verrebbero un poco (poco, restando l’ostacolo della Camera Alta) alimentate.

MIKE PENCE. Quale, comunque lo scenario se in effetti Donald Trump dovesse mollare? Sempliceme­nte, la succession­e del vice presidente Mike Pence. Sarebbe il decimo vice a subentrare. Otto i predecesso­ri mortis causa: nell’ordine, John Tyler, Millard Fillmore, Andrew Johnson, Chester Arthur, Theodore Roosevelt, Calvin Coolidge, Harry Truman e Lyndon Johnson.

Uno, causa dimissioni: Gerald Ford.

NUMERI A FAVORE DEL TYCOON Alla Camera il Grand Old Party prevale: perché mai dovrebbe accettare di processare uno di loro?

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