La scappatoia “elettorale” di intentare causa civile
Alla fine la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio ha avuto i titoli di giornale che desiderava: “Maria Elena Boschi porta de B ort oli in tribunale ”. Che forse è ciò che maggiormente le interessava. La vicenda è nota: il direttore aveva scritto nel suo libro Poteri forti (o quasi) che nel 2015 l’allora ministra per le Riforme “non ebbe problemi a rivolgersi direttamente all’ amministratore delegato di Unicredit... chiese a Federico Ghizzoni di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria”.
L’iniziativa processuale è stata annunciata due giorni fa con un ingenuo post su Facebook, in cui Boschi spiegava di aver firmato il mandato per l’azione civile di risarcimento danni nei confronti di de Bortoli. Aggiungendo (minaccia o promessa?): “A breve procederò anche nei confronti di altri giornalisti.” Il 9 maggio ( sempre su Facebook, sic!) Boschi aveva già dichiarato le sue bellicose intenzioni: “Stavolta ho affidato la pratica ai legali per tutelare il mio nome e il mio onore”. Eppure in agosto erano scaduti i termini per la querela, cioè per presentare l’azione penale. Che serve a verificare se un fatto è accaduto e se costituisce reato: in questo caso se de Bortoli abbia o no diffamato Boschi. Ma la sottosegretaria ha scelto la via civile, che mira al risarcimento del danno ( in denaro). Strano, perché è una strada più lunga (c’è prima un tentativo di conciliazione), più complicata (per esempio, l’ ammissione dei testimoni è più discrezionale) e del tutto priva di evidenza pubblica. Passerà molto tempo, il tema quindi non “interferirà” con la campagna elettorale, ma nel mentre non si potrà dire che lei è rimasta alla finestra. Nel post su Facebook, la stessa Boschi involontariamente ha svelatole ragioni della sua scelta: questa vicenda viene utilizzata “da anni per attaccare me e il Pd”. La via civile sarà davvero tale, e soprattutto, la più “onorevole”?