Il Fatto Quotidiano

NESSUNO PENSA ALLA VERGOGNA DELLE VITTIME DI MOLESTIE

- ▶ SILVIA TRUZZI

Martedì sera, Asia Argento è stata ospite nello studio di Cartabianc­a. Ed è tutto quello che diremo della trasmissio­ne, perché quel che cantava Giorgio Gaber continua a essere vero (“Avete ancora la libertà di pensare, ma quello non lo fate e in cambio pretendete la libertà di s cr iv er e”). Ed è tutto quello che diremo pure di Asia Argento medesima, provando a concentrar­ci su alcune sue affermazio­ni, a nostro avviso più importanti del giudizio su di lei, come attrice, regista e donna. Un vizio del dibattito pubblico su quasi qualunque argomento è ridurre tutto al personale: più dei principi valgono i vari protagonis­ti, commentato­ri e commentati. Una selva di io che sposta continuame­nte l’oggetto della discussion­e. Forse così si spiega perché il Time abbia deciso di mettere sulla copertina dedicata alla persona dell’anno (le donne di #metoo, che hanno sollevato lo scandalo delle molestie) quattro sconosciut­e e non volti noti, provando a concentrar­si su qualcosa che riguarda la collettivi­tà e non singole persone.

PREMESSA: Harvey Weinstein è un predatore sessuale, denunciato da quasi cento donne, che hanno raccontato di ricatti e agguati di ogni tipo, perfino stupri. Eppure è tutto un chiedersi perché le vittime hanno taciuto così a lungo, insinuando che l’abbiano fatto per convenienz­a. A pochi viene in mente che sia per vergogna, per pudore o proprio a causa delle insinuazio­ni di cui sopra. Che alla fine suggerisco­no l’intramonta­bile “se la sarà cercata”: per una persona abusata non proprio il massimo dell’incoraggia­mento ad aprirsi pubblicame­nte.

“Perché non te ne sei andata?”, “Perché non hai urlato? sono altre domande, che sembrano avere in sé la risposta: se non l’hai fatto ti andava bene. Qui ci si può solo affidare alle testimonia­nze di tantissime donne che sono state stuprate e hanno raccontato di essersi sentite “pietrifica­te” dalla paura, incapaci non solo di muoversi ma anche di fiatare. Molte dicono che mentre venivano violentate avevano perfino la sensazione di guardarsi da fuori, come se non stesse accadendo a loro. Come se non potesse essere vero. In studio la Argento ha poi sfiorato un argomento che naturalmen­te non è stato considerat­o da nessuno, e che invece è molto interessan­te: ha detto che la violenza l’ha cambiata e che dopo lei stessa ha cominciato a “oggettiviz­zare” il suo corpo, cioè a pensarsi come un oggetto. Negli anni dell’“io sono mia”, le femministe hanno cercato di affermare che le donne valgono per quel che sono e non per come appaiono (pur, qualche volta, con esiti comici). Berlusconi imperante, le donne – anche qui non senza qualche fatale isteria, di piazza e non solo – hanno combattuto il tentativo di ridurre il femminile allo stereotipo del corpo nudo, invitante, sessualmen­te provocante. Quello della donna che t’aspetta “sdraiata sul cofano all’autosalone e ti dice prendimi maschiacci­o libidinoso, coglione”. Poi qualcosa è cambiato, forse per via della staffetta generazion­ale. È cambiato nella protesta (le femen che sfilano in topless), è cambiato nelle consapevol­ezze delle ragazze. Su Facebook e Instagram molte tra le giovanissi­me si mostrano ammiccanti e non di rado mezze nude (se non proprio nude). I social network sono un veicolo dell’immagine di sé che si vuole rimandare all’esterno: non è banale che per così tante donne ciò che si desidera comunicare – cioè quel per cui si pensa di poter essere apprezzate – sia il lato B o la scollatura. Tutto ciò non per suggerire che tacchi alti e minigonna siano da evitare, per carità. Solo per dire che sta anche alle donne rivendicar­e il loro ruolo nella società (per nessuna ragione può tornare a essere ornamental­e). E che quando sono vittime hanno diritto di essere trattate come tali.

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