NESSUNO PENSA ALLA VERGOGNA DELLE VITTIME DI MOLESTIE
Martedì sera, Asia Argento è stata ospite nello studio di Cartabianca. Ed è tutto quello che diremo della trasmissione, perché quel che cantava Giorgio Gaber continua a essere vero (“Avete ancora la libertà di pensare, ma quello non lo fate e in cambio pretendete la libertà di s cr iv er e”). Ed è tutto quello che diremo pure di Asia Argento medesima, provando a concentrarci su alcune sue affermazioni, a nostro avviso più importanti del giudizio su di lei, come attrice, regista e donna. Un vizio del dibattito pubblico su quasi qualunque argomento è ridurre tutto al personale: più dei principi valgono i vari protagonisti, commentatori e commentati. Una selva di io che sposta continuamente l’oggetto della discussione. Forse così si spiega perché il Time abbia deciso di mettere sulla copertina dedicata alla persona dell’anno (le donne di #metoo, che hanno sollevato lo scandalo delle molestie) quattro sconosciute e non volti noti, provando a concentrarsi su qualcosa che riguarda la collettività e non singole persone.
PREMESSA: Harvey Weinstein è un predatore sessuale, denunciato da quasi cento donne, che hanno raccontato di ricatti e agguati di ogni tipo, perfino stupri. Eppure è tutto un chiedersi perché le vittime hanno taciuto così a lungo, insinuando che l’abbiano fatto per convenienza. A pochi viene in mente che sia per vergogna, per pudore o proprio a causa delle insinuazioni di cui sopra. Che alla fine suggeriscono l’intramontabile “se la sarà cercata”: per una persona abusata non proprio il massimo dell’incoraggiamento ad aprirsi pubblicamente.
“Perché non te ne sei andata?”, “Perché non hai urlato? sono altre domande, che sembrano avere in sé la risposta: se non l’hai fatto ti andava bene. Qui ci si può solo affidare alle testimonianze di tantissime donne che sono state stuprate e hanno raccontato di essersi sentite “pietrificate” dalla paura, incapaci non solo di muoversi ma anche di fiatare. Molte dicono che mentre venivano violentate avevano perfino la sensazione di guardarsi da fuori, come se non stesse accadendo a loro. Come se non potesse essere vero. In studio la Argento ha poi sfiorato un argomento che naturalmente non è stato considerato da nessuno, e che invece è molto interessante: ha detto che la violenza l’ha cambiata e che dopo lei stessa ha cominciato a “oggettivizzare” il suo corpo, cioè a pensarsi come un oggetto. Negli anni dell’“io sono mia”, le femministe hanno cercato di affermare che le donne valgono per quel che sono e non per come appaiono (pur, qualche volta, con esiti comici). Berlusconi imperante, le donne – anche qui non senza qualche fatale isteria, di piazza e non solo – hanno combattuto il tentativo di ridurre il femminile allo stereotipo del corpo nudo, invitante, sessualmente provocante. Quello della donna che t’aspetta “sdraiata sul cofano all’autosalone e ti dice prendimi maschiaccio libidinoso, coglione”. Poi qualcosa è cambiato, forse per via della staffetta generazionale. È cambiato nella protesta (le femen che sfilano in topless), è cambiato nelle consapevolezze delle ragazze. Su Facebook e Instagram molte tra le giovanissime si mostrano ammiccanti e non di rado mezze nude (se non proprio nude). I social network sono un veicolo dell’immagine di sé che si vuole rimandare all’esterno: non è banale che per così tante donne ciò che si desidera comunicare – cioè quel per cui si pensa di poter essere apprezzate – sia il lato B o la scollatura. Tutto ciò non per suggerire che tacchi alti e minigonna siano da evitare, per carità. Solo per dire che sta anche alle donne rivendicare il loro ruolo nella società (per nessuna ragione può tornare a essere ornamentale). E che quando sono vittime hanno diritto di essere trattate come tali.