Erdogan “pifferaio magico” dei musulmani anti-Israele
Il presidente ripete il mantra che piace all’Islam: “Gerusalemme est ai palestinesi”
Il summit dei Paesi islamici si apre con una preghiera, poi Erdogan parte subito all’attacco: “Bisogna riconoscere Gerusalemme occupata come capitale della Palestina. Invito tutti gli stati che difendono il diritto internazionale a farlo”.
Quindi il presidente turco rivolge parole durissime a Israele, definendolo “uno stato terrorista che uccide e imprigiona i bambini”. E nel dire questo, Erdogan mostra la foto, divenuta virale nei giorni scorsi, del ragazzino bendato (Fawzi al Junaidi, 16 anni) circondato da soldati israeliani.
Alla fine dei lavori i 57 Paesi dell’ Organizzazione della cooperazione islamica, riuniti ad Istanbul, hanno dichiarato Gerusalemme est capitale della Palestina e invitato le altre nazioni a seguire il loro esempio. E hanno definito la decisione di Trump di riconoscere, invece, la città come capitale di Israele irresponsabile, illegale, unilaterale e lo Stato ebraico una potenza occupante.
DAGLI USA, intanto, è arrivata la precisazione – lo ha detto il segretario di Stato Rex Tillerson – che per spostare l’ambasciata a Gerusalemme ci vorranno almeno 3 anni. Non potrà, dunque, accadere durante il primo mandato di Trump. Il presidente della Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha sottolineato che “i palestinesi d’ora in poi non considereranno più gli Stati Uniti come possibili mediatori in un processo di pace” mentre il presidente iraniano Hassan Rohani ha invitato “tutti i musulmani all’unità per la difesa di Gerusalemme contro il regime sionista”.
Rohani non ha risparmiato una critica ad alcuni Paesi del Golfo (ed in particolare all’Arabia Saudita), aggiungendo che, se Trump ha osato fare questa mossa, è perché alcuni attori della regione hanno mostrato di essere disposti ad avere relazioni con Israele. E proprio l’Arabia Saudita è stata tirata in causa ieri anche dal ministro dell’intelligence israeliano Yisrael Katz che, in un’intervista che getta altra benzina sul fuoco: ha proposto una mediazione di Ryad per la pace tra Israele e la Palestina.
I rapporti tra Ankara e Tel Aviv, che avevano ripreso le relazioni diplomatiche appena un anno fa, appaiono nuovamente molto tesi. Sono lontani i tempi nei quali la Turchia era il primo Paese islamico (e mediorientale) a riconoscere lo stato di Israele. Era il 1950 e da allora, per oltre mezzo secolo, Ankara è stata la migliore alleata dello Stato ebraico nell’area.
SEBBENE L’OPINIONE pu bblica si sia spesso schierata dalla parte della causa palestinese, i governi di diverso colore si sono dimostrati vicini a Tel Aviv. I rapporti commerciali e strategici sono sempre stati molto buoni e, negli anni 90, si è perfino arrivati, con il governo turco guidato da Tansu Ciller, ad accordi che prevedevano esercitazioni dell’esercito comuni e scambio di tecnologia militare.
Qualche crepa si era vista nel 2002 quando il premier turco Bulent Ecevit, dopo i bombardamenti sulla residenza di Arafat, aveva parlato di “genocidio dei palestinesi”. Uno strappo subito ricucito ma, di lì a pochi mesi, dalle urne era uscito vincitore l’Akp di Erdogan, ex-allievo e giovane star del partito di Necmettin Erbakan, storica figura dell’islamismo turco e di certo non un fervente ammiratore di Israele.
Nei primi anni di mandato l’allora premier della Turchia era parso disposto a mantenere buone relazioni con Tel Aviv, per quanto fosse più sensibile alla causa palestinese dei suoi predecessori (già nel 2006 Erdogan aveva invitato ad Ankara il leader di Hamas, Kaled Mashal).
Ma lo strappo vero e proprio è arrivato nel 2010 quando la nave turca Mavi Marmara ha tentato di forzare il
Bisogna riconoscere Gerusalemme occupata come capitale della Palestina
RECEP T. ERDOGAN Invito tutti i musulmani all’unità per la difesa di Gerusalemme contro il regime sionista HASSAN ROHANI
RECEP T. ERDOGAN
È fuori questione d’ora in poi che i parziali Stati Uniti siano mediatori tra Israele e Palestina: quel tempo è finito
blocco navale imposto a Gaza dall’esercito israeliano che, con un blitz, ha provocato la morte di una decina di attivisti turchi. La rottura dei rapporti diplomatici seguita al caso Mavi Marmara non è stata facile da ricucire. E soltanto 6 anni dopo, i rapporti sono ripresi con la nomina di un nuovo ambasciatore israeliano ad Ankara. Un equilibrio che, a un anno di distanza, appare più che mai fragile.