I bimbi di Bukra Ahla e la guerra negli occhi
Un reportage (anche fotografico) dal campo di Beirut che ospita i profughi siriani
Bukra Ahla è una zona franca nel dramma quotidiano dei rifugiati dalle guerre. Si trova a Beirut ed è gestita dalla Ong belga Sb Overseas. Il libro di storie e fotografie nato dal lavoro di Sara Del Debbio e Sergio Porcarelli ( Bu kra Ahla, per un domani migliore, Aliberti editore) oltre a rendere conto di quella condizione vuole aiutare proprio il centro di Bukra Ahla che sarà destinatario dei proventi del diritto d’autore e di una parte delle vendite.
Sara Del Debbio è chiamata dalla Ong belga a insegnare inglese e matematica ai ragazzi che popolano il centro e che vengono dal campo profughi di Shatila. Il campo è quello ormai tristemente famoso dove nel 1982 le Falangi libanesi e l’Esercito del Libano del sud massacrarono circa 3500 palestinesi. Ora i profughi sono soprattutto siriani e quelli che si scandalizzano per qualche migliaio di rifugiati nei vari Paesi europei dovrebbero ricordare che il Libano, dall’inizio della guerra, ne ha accolti un milione e mezzo. “Il campo non è sicuro, non è pulito, non è abbastanza grande, soffre un sovrappopolamento che lo rende invivibile. I palazzi sono ruderi, simili a quelli in Siria colpiti dalle bombe. I fili della corrente tagliano il cielo sopra i vicoli sporchi”.
È in questa realtà che interviene l’attività del centro Bukra Ahli ospitando ciclicamente i bambini per aiutarli a superare il test di in- gresso nel sistema di istruzione pubblica libanese.
Il libro racconta le storie di quei bambini e delle loro famiglie. Ma lo fa, scrive Del Debbio, cercando di offrire al lettore qualcosa in più: “C’è bisogno di vedere con i propri occhi (…) arriva Sergio in soccorso a Beirut, il mio amico fotografo”.
E COSÌ SI ASCOLTANO e si “vedono” le storie di Taha e Raed che non vogliono vendere fazzoletti ai semafori perché fa troppo caldo; la storia di Hana che ha paura di essere rapita, “lo dicono sempre i grandi”. Oppure il volto sorridente e velato di Shafia che a settant’anni ha smesso di fare l’infermiera perché “ho visto abbastanza” e ora sogna di fare la parrucchiera.
La guerra è difficile da superare, ma se ci riesci dopo vuoi tornare a vivere davvero.