Il “caso derivati”, il Tesoro e Morgan Stanley: opere e omissioni
Ecosì pure nelle aule del Parlamento, segnatamente in quella che ospita la Commissione d’inchiesta sulle banche, è risuonata dalla viva voce del sostituto procuratore della Corte dei Conti del Lazio, Massimiliano Minerva, la vicenda dei derivati stipulati dal Tesoro sul debito pubblico, una cosetta che al 31 dicembre 2016 risultava avere valore negativo per 37,9 miliardi di euro teorici e aver avuto effetti reali negativi nei 4 anni precedenti per 24 miliardi. I giudizi del magistrato sono di questo tenore: “Sostanziale i- nadeguatezza delle strutture ministeriali”; “controlli interni inadeguati o assenti”; “gestione sconcertante”; “comportamenti omissivi”. Quest’ultima frase si riferisce alla “clausola early termination” inclusa in alcuni derivati del 1994 che consentiva unilateralmente alle banche di chiudere i contratti a determinate condizioni: la direttrice del debito pubblico Maria Cannata sostiene di non averla notata fino al 2007, anno dopo il quale se n’è evidentemente dimenticata di nuovo visto che a fine 2011 Morgan Stanley la attivò incassando 3,1 miliardi. Cose che capitano, per carità: lava, stira, cuci e uno si scorda le early termination. Proprio pensando a tutte le cose che ha da fare, dunque, ricordiamo al Tesoro che, nonostante quel brutto scherzo, Morgan Stanley risulta ancora tra gli “specialisti” che intermediano il nostro debito pubblico facendoci sopra bei soldi: essendo i peccati tanto in opere che in omissioni, e che in subordine a pensar male si fa peccato ecc., sarebbe forse l’ora di depennare dalla lista i simpatici amici americani.