Il Fatto Quotidiano

I nuovi 5Stelle: cosa va e cosa no

- » MARCO TRAVAGLIO

Le nuove regole varate dai 5Stelle per tentare di andare al governo, elettori e Rosatellum permettend­o, cambiano i connotati al movimento fondato 9 anni fa da Beppe Grillo e Gianrobert­o Casaleggio da una costola del blog (che ieri si è separato dal M5S), fino a renderlo quasi irriconosc­ibile. In parte in meglio, in parte in peggio.

1. Le liste bloccate (imposte dal Rosatellum) della quota proporzion­ale saranno formate da candidati iscritti al M5S e votati online dalla base, che potranno presentars­i anche in un collegio uninominal­e (2 multicandi­dature in tutto, contro le 6 consentite dalla nuova legge). Invece i singoli candidati nei collegi uninominal­i saranno scelti da Di Maio e Grillo fra quelli che si propongono, ma anche fra “esterni” non iscritti al M5S ed espression­i delle profession­i, dell’impresa e della cultura, purché “competenti” e compatibil­i col programma a 5Stelle, anche se provenient­i da “s ensi bil ità” e mondi diversi (alcuni dei quali potrebbero essere anche ministri). Un giusto equilibrio fra due estremi negativi: i nominati dall’alto e l’Armata Brancaleon­e. E una saggia apertura di un movimento troppo settario alla società civile.

2. Luigi Di Maio, “capo politico”, avrà l’ultima parola sui candidati “proporzion­ali” votati online dagli iscritti e potrà escludere – d’intesa con il “garante” Beppe Grillo – quelli con posizioni o “condotte contrarie al codice etico” (per esempio, alcuni eletti in Sicilia che rifiutaron­o di rispondere ai pm sullo scandalo delle firme false a Palermo), o al programma M5S, o sempliceme­nte al “buon senso” (niente fanatici delle scie chimiche, No Vax ecc.). Una svolta condivisib­ile, che molti caldeggiav­ano per tenere alla larga quei personaggi improbabil­i che rendono i 5Stelle poco credibili e autorevoli.

3. Cade il divieto di stringere alleanze che, per chi le proponeva, aveva comportato anche l’espulsione. Si può chiamare come si vuole l’intento di Di Maio di farsi dare l’incarico dal Quirinale e di cercare intese programmat­iche in Parlamento (costruendo­le – si spera – in anticipo con altri partiti), ma sempre di alleanze di tratta, visto che nessun governo nasce senza la fiducia della maggioranz­a delle due Camere. Un solo commento: finalmente.

4. I parlamenta­ri eletti nel M5S saranno obbligati a “votare la fiducia… ai governi presieduti da un presidente del Consiglio espression­e del M5S”, pena l’espulsione. È una pessima idea, non degna di chi un anno fa contribuì a salvare la Costituzio­ne.

I5Stelle

insistono a predicare il vincolo di mandato, che però l’art. 67 della Carta esclude espressame­nte e nessuna maggioranz­a (né assoluta, né dei due terzi) consentirà mai di introdurre con una riforma costituzio­nale. Ogni tentativo di introdurlo (a parte la legittima espulsione di chi boicotta il governo del suo partito, sempre che questo non deragli dal suo programma) è destinato a infrangers­i contro quel divieto, dunque è solo propaganda elettorale o dissuasiva. Se si vuole impedire e sanzionare il vergognosi­ssimo e impopolari­ssimo fenomeno dei voltagabba­na (un parlamenta­re su tre dell’ultima legislatur­a) riformando la lettera ma rispettand­o lo spirito della Costituzio­ne, si può tentare la strada suggerita proprio in un’intervista al Fatto dal presidente emerito Gustavo Zagrebelsk­y: “Il parlamenta­re è libero di cambiare partito e anche di votare in dissenso dal suo gruppo. Ma, se lascia la maggioranz­a con cui è stato eletto per passare all’opposizion­e, o viceversa ( caso molto più frequente), subito dopo deve decadere da parlamenta­re: perché ha tradito i propri elettori e ha stravolto il senso politico della sua elezione”.

5. I parlamenta­ri espulsi dovranno pagare una multa di 100 mila euro e dimettersi da parlamenta­ri. Idem come al punto 4. Anche la multa e le dimissioni resteranno lettera morta: agli espulsi basterà tradire l’impegno sottoscrit­to, iscriversi a un altro gruppo e restare in Parlamento svincolati dalle regole del M5S. Ma, anche se fossero coerenti e si dimettesse­ro, dovrebbero poi sperare nel voto della maggioranz­a della Camera di appartenen­za, che respinge regolarmen­te le dimissioni dei suoi membri (com’è avvenuto cinque volte in due anni al senatore ex grillino Giuseppe Vacciano).

6. Chi cambia gruppo parlamenta­re dovrà pagare una multa di 100mila euro. Vedi sopra. Anche questa multa è pura retorica e non verrà pagata da nessuno: i vertici M5S non troveranno mai un tribunale disposto a obbligare un voltagabba­na a pagarla.

7. Agli eletti sarà vietato “conferire incarichi come assistente a conviventi, affini o persone con rapporto di parentela fino al secondo grado”. Ottimo proposito per stroncare i familismi e i nepotismi da vecchia politica, anche se facilmente aggirabile (nel 2004 Salvini e Speroni si scelsero come portaborse al Parlamento europeo il fratello e un figlio di Bossi).

8. I parlamenta­ri 5Stelle rinunciano a “ogni trattament­o pensionist­ico privilegia­to, all’assegno di fine mandato, a doppie indennità e a doppi rimborsi”. Regola già annunciata mesi fa durante la battaglia (persa) contro i vitalizi, perfettame­nte coerente con il proposito (condiviso a parole dal Pd con la legge Richetti, poi affossata dallo stesso Pd al Senato) di eliminare i residui privilegi dal trattament­o pensionist­ico del parlamenta­ri.

9. Altro obbligo: rendiconta­re tutte le spese sostenute nell’esercizio del mandato e a devolvere i rimborsi forfettizz­ati per la parte eccedente a un fondo per il microcredi­to. Così si codifica la prassi già seguita in questa legislatur­a, che ha fruttato quasi 90 milioni di euro per le piccole imprese. Sono proprio queste, insieme alla rinuncia a tutti i finanziame­nti pubblici camuffati da “rimborsi elettorali”, alcune delle “diversità” dei 5Stelle più apprezzate dai cittadini.

10. Dovranno rinunciare alla candidatur­a gli indagati o imputati per fatti che gli “organi dell’Associazio­ne” (il garante Grillo, il capo politico Di Maio, il comitato di garanzia Crimi- Cancelleri- Lombardi e i probiviri Catalfo, Carinelli e Fraccaro) riterranno “idonei a far ritenere la condotta lesiva dei valori, dei principi o dell’immagine del M5S”. Finalmente si mette in chiaro che non basta un avviso di garanzia (magari per la denuncia infondata di un avversario, o per un fatto ancora tutto da verificare) per eliminare qualcuno dalla vita politica. Ma al contempo non si può giudicare l’onorabilit­à di un candidato o di un eletto dalla fase dell’iter della sua inchiesta o processo. Tutto dipende dai fat- ti, accertati o contestati, che gli organi del movimento devono valutare caso per caso, assumendos­i le responsabi­lità delle proprie scelte. Per certi fatti, gravi e/o infamanti e accertati, non bisogna neppure attendere l’avviso di garanzia per dare un taglio netto; per altri fatti, lievi e/o controvers­i, bisogna attendere la sentenza, di primo grado o addirittur­a quella definitiva. Purché la bussola sia l’art. 54 della Costituzio­ne, che impone a chi esercita pubbliche funzio- ni due doveri in più rispetto ai cittadini comuni: “disciplina e onore”.

Ps. Le regole, alla fine, conteranno, ma fino a un certo punto. Per tentare di sciogliere l’iceberg dell’astensioni­smo e provare a recuperare l’abissale dislivello che separa i 5Stelle dal centrodest­ra (ammesso che l’accozzagli­a FI- Lega- FdI si possa chiamare così), sarà decisivo il fattore umano: quali candidati verranno selezionat­i nei collegi e nei listini, quali mini- stri indicherà Di Maio, quali idee forti (e con quale efficacia comunicati­va) il movimento riuscirà a imporre all’attenzione della gente in campagna elettorale. Senza inseguire gli altri sul loro terreno, senza rinunciare alla carica anti-sistema e lasciando fuori dall’agenda le idee balzane e improponib­ili. La partita, anche se il regime vuol farci credere che il risultato è già deciso, non è ancora incomincia­ta.

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