INTERCETTAZIONI, LA RIFORMA VIOLA LA COSTITUZIONE
Alcuni giorni orsono, il Governo ha dato il via libera al testo definitivo sulla riforma delle intercettazioni. Secondo il ministro di Giustizia, la finalità della legge è escludere ogni riferimento a persone solo occasionalmente coinvolte dall’attività di ascolto e di espungere il materiale non rilevante ai fini di giustizia. La norma, in realtà, impedirà all’opinione pubblica di conoscere fatti e comportamenti, politicamente ed eticamente scorretti, degli uomini pubblici. Viene, così compresso quello che la Corte Costituzionale, nella sentenza n° 420/1994, definì “diritto del cittadino all’informazione”, quel diritto sociale che, seppur non espressamente menzionato dalla Costituzione, è strettamente legato alla libertà di manifestazione del pensiero prevista dall’art. 21. In sostanza, il diritto all’informazione si configura come una conseguenza del principio democratico, poiché un regime democratico necessita sempre di una pubblica opinione vigile e informata: i cittadini devono sapere per poter decidere (come ebbe a dichiarare Luigi Einaudi).
ORA, LA NUOVA LEGGE, che vieta la pubblicazione di conversazioni ritenute penalmente irrilevanti, riduce lo spazio del controllo di legalità e mette in serio pericolo la libertà di stampa e soprattutto il diritto dei cittadini di essere informati su tutto quello che riguarda l’uomo pubblico. Del resto, il governo ed i partiti dovrebbero avere tutto l’interesse a conoscere tali conversazioni che potrebbero aver rilevanza ai fini dell’ac ce rt amento di una responsabilità politica, onde comminare all’uomo pubblico, che ha tenuto comportamenti scorretti, sanzioni politiche consistenti nella stigmatizzazione e, nei casi più gravi, nell’allontanamento delle funzioni esercitate. La democrazia si nutre, invero, di controlli che devono essere effettivi. C’è un controllo sociale che si esercita attraverso una informazione incisiva rispetto al potere, purché libera e pluralista, ed è grave prevedere un divieto di pubblicazione di notizie ed atti di interesse pubblico; in sostanza, se la notizia riguarda un cittadino cui sono state affidate funzioni pubbliche da adempiere “con onore”, essa deve essere pubblicata. Naturalmente è necessario, per non ledere altri diritti come quello all’onore e alla reputazione delle persone, rispettare i limiti consueti: veridicità, interes- se pubblico, continenza, cioè, modalità espositive corrette e non subdole, ma il diritto di cercare, diffondere e ricevere informazioni è fondamentale in una democrazia.
UNA SECONDA considerazione riguarda la circostanza che sarà la polizia giudiziaria ad effettuare la scrematura tra intercettazioni attinenti alle indagini e non rilevanti. Ora – a parte che è irragionevole affidare agli appartenenti alla p.g. un compito che presuppone la perfetta conoscenza degli atti di indagine che l’addetto all’ascolto non ha – si osserva che la nuova disciplina si pone contro la impostazione del codice di procedura penale secondo cui “il pubblico ministero compie personalmente ogni attività di indagine” (art. 370), ed è a lui, non ad altri, che spetta il potere, nell’ambito della discrezionalità delle scelte investigative, di selezionare le conversazioni che ritiene rilevanti per il prosieguo delle indagini, per contestare i reati e richiedere misure cautelari.
La nuova legge sembra, inoltre, ignorare che il codice (art. 267) attribuisce in primo luogo al pm il potere-dovere di “procedere alle operazioni personalmente”, e, in via gra- data, di “avvalersi di un ufficiale di polizia giudiziaria”. Né va dimenticato che “le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella Procura della Repubblica” e, solo “quando tali impianti risultino insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, possono essere compiute mediante impianti in dotazione alla polizia giudiziaria” (art. 268). Pertanto, so- lo in casi di “eccezionale urgenza”, ed in presenza di insormontabili ostacoli tecnici che impediscono un utile impiego degli impianti installati presso la Procura, è possibile l’utilizzo di impianti diversi. Evidente, quindi, il disfavore del legislatore verso impianti sui quali non vi è diretto e personale controllo dell’autorità giudiziaria. Ciò nonostante, da anni, la politica governativa è stata rivolta a potenziare sempre più le sale di ascolto esistenti presso le forze dell’ordine, così determinando, grazie anche ad una discussa giurisprudenza della Cassazione, l’utilizzo generalizzato di impianti di intercettazione diversi da quelli delle Procure.
In conclusione, alla indiscriminata delega all’ascolto conferita alla polizia giudiziaria e alla sistematicità delle intercettazioni con gli impianti di quest’ultima, si è oggi aggiunto anche l’affidamento alla stessa di selezionare il contenuto delle intercettazioni, sicché è stato ad essa consegnato il controllo pressoché totale. Non può non convenirsi con l’Anm quando parla di “strapotere della polizia giudiziaria e di controllo impossibile del pm”.
La riforma Irragionevole lasciare alle forze di polizia la scelta su cosa è rilevante e cosa no