Il Fatto Quotidiano

“Protesta spontanea con dietro lotta di potere”

Il ricercator­e descrive i vari cerchi in cui si sta allargando la rivolta: “È una slavina”

- AND. VAL.

Tante

rivolte in una, ma senza un leader né un’agenda politica, non fanno una rivoluzion­e. E mentre l’“onda verde” del 2009 aveva un carattere politico contro l’allora presidente Ahmadineja­d, accusato di aver vinto le elezioni attraverso brogli, la protesta di questi giorni è tutta incentrata sul disagio economico. Questa la lettura dei fatti di Nicola Pedde, direttore dell’Institute of Global Studies di Roma e autore di saggi come Iran 1979. La rivoluzion­e islamica.

Cosa c’è all’origine dei disordini che hanno già fatto almeno una dozzina di morti?

Siamo di fronte a un insieme di proteste senza un disegno unitario. Il tema centrale che le unisce è sicurament­e quello economico: l’aumento del prezzo del pollo e delle uova, alla base delle abitudini alimentari di molti iraniani, quindi il carovita. All’incremento dei prezzi si aggiungono diverse situazioni di disagio locale: il fallimento di tre banche presenti in una vasta area a nord della capitale ha provocato la rabbia dei risparmiat­ori, il malcontent­o nelle aree terremotat­e del nord-ovest che sono abitate in gran parte da curdi. E poi naturalmen­te la rabbia della popolazion­e, mai sopita, a causa della corruzione degli apparati dello Stato.

Ma un movimento spontaneo si può estendere così tanto da con- quistare terreno fino ad arrivare a Teheran?

La miccia si è accesa nelle province del nord del Paese ed è venuta giù, come una valanga che lega tanti elementi di malcontent­o e trascina tutto con sé. Questo meccanismo viene alimentato da Mahmud Ahmadineja­d (presidente dal 2005 al 2013 ndr), su cui pesano le responsabi­lità di un grande scandalo finanziari­o emerso nel 2011. L’ex presidente ultraconse­rvatore sarebbe al centro del cerchio magico di banchieri e imprendito­ri che hanno operato una maxi-truffa ai danni dello Stato per quasi 3 miliardi di dollari. Sia l’attuale ministro della giustizia Sadeg Larijani che la Guida suprema Alì Khamenei lo hanno attaccato per questo. E lui, messo alle strette, soffia sul fuoco.

Di quali mezzi si serve la protesta?

Nelle aree rurali, si può trattare sempliceme­nte di forme tradiziona­li, come manifestaz­ioni di piazza. Nelle aree urbane, invece, si fa largo uso di social media, in particolar­e Telegram – un’applicazio­ne di messaggeri­a molto più usata di Whatsapp in Iran, che il governo, nonostante i proclami, non riesce a bloccare. Il presidente Rouhani è il bersaglio del malcontent­o: chi ha interesse a indebolirl­o?

Rouhani è obiettivo ma anche simbolo. Una parte della protesta, infatti, lo appoggia, sostenendo che i riformisti come lui possono combattere il sistema burocratic­o e affaristic­o – legato in gran parte proprio all’ex presidente Ahmadineja­d e agli ultraconse­rvatori - che alimenta la corruzione. Ma se i disordini crescono, c’è sempre il rischio che Rouhani debba essere sacrificat­o, facendo così il gioco di chi chiede di restaurare l’ordine all’interno e di bloccare le aperture del sistema economico verso l’esterno.

Ma quali sono le sue colpe? L’attuale governo viene attaccato almeno su due fronti: l’accordo sul nucleare e la guerra all’Isis in Siria e Iraq. L’accordo, firmato all’epoca dell’amministra­zione Obama nel 2015, è rimasto sulla carta per volere di Washington, con mancati benefici sull’economia del Paese. E poi la lunga guerra all’Isis ha drenato energie e ricchezze, scatenando frustrazio­ne in ampi settori dell’opinione pubblica.

L’ex presidente Ahmadineja­d sarebbe al centro del cerchio magico che ha operato una maxitruffa ai danni dello Stato per 3 miliardi di dollari

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LaPresse “Il falco” Ahmadineja­d
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