Voto all’estero alla Consulta: “Così viola la Costituzione”
Una giudice di Venezia invia alla Corte il ricorso di un italiano residente in Slovacchia: “Esprimersi per corrispondenza non garantisce né la segretezza né la libertà prescritte dalla Carta”
Il treno è arrivato lì dove doveva, vale a dire alla Corte costituzionale. I giudici delle leggi dovranno occuparsi della legittimità delle (contestatissime) modalità di voto degli italiani all’estero visto che il Tribunale di Venezia ha deciso di sottoporgli il ricorso di un cittadino italiano residente in Slovacchia, Pier Michele Cellini: presentato poco prima del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 - che vide il forte attivismo “extra-confini” del governo e soprattutto dell’allora ministra Maria Elena Boschi - il ricorso è depositato il 5 gennaio ed è l’ennesima mina sulla via delle prossime Politiche. Non si tratta di minuzie: gli italiani residenti all’estero eleggono 12 deputati e 6 senatori e, essendo oltre 4 milioni, in caso di referendum rappresentano circa l’8% dell’intero corpo elettorale.
LA GIUDICE Silvia Barison, ovviamente, mette sotto accusa non il diritto di voto degli italiani che risiedono fuori dai confini, ma il meccanismo con cui quel diritto si esercita in base alla legge voluta dal governo Berlusconi nel 2002. Sotto accusa, in particolare, il voto per corrispondenza, che “solleva robuste perplessità in ordine alla sua legittimità costituzionale, soprattutto avendo riguardo al principio di segretezza”. La cosa, in pratica, funziona così: l’elettore riceve la scheda a casa, la vota, la reinserisce nella busta e la rispedisce al Consolato. Scandali e brogli consentiti da questo sistema sono noti e s’è scoperto pure un senatore, Nicola Di Girolamo (Pdl), eletto all’estero senza essere residente all’estero grazie ai buoni uffici della ‘ndrangheta.
Anche per questo nel 2013 l’ambasciatrice Cristina Ravaglia, direttore generale per gli italiani all’estero, subito dopo il voto delle Politiche, scrisse una lettera al governo quasi anticipando le parole della giudice: il voto per corrispondenza è “totalmente inadeguato, se non contrario ai fondamentali principi costituzionali” e“soggetto come evidente a una serie di variabili incertezze (quali l’affidamento ai sistemi postali locali, il pericolo di furti, incette, pressioni, compravendite, sostituzione del votante ma non solo)”.
E qui torniamo all’ordinanza di Barison: le modalità del voto, scrive inviando gli atti alla Consulta, “non assicurano la segretezza, la personalità e la libertà del voto, sia nella fase della sua manifestazione, la quale non avviene in luogo La
Procura di Avellino ha un sospetto. Per questo ha chiesto alla Procura di Napoli gli atti dell’intercettazione telefonica tra l’ex premier e sindaco di Nusco, Ciriaco De Mita, e il giudice civile di Salerno, Mario Pagano, arrestato il mese scorso per corruzione, con l’accusa di aver pilotato sentenze civili, tributarie e del lavoro, grazie a collegamenti con amici magistrati del Salernitano.
IL SOSPETTO è che il nome della persona “dalla faccia non molto raccomandabile” che il 20 febbraio 2016 De Mita raccomanda a Pagano affinché il giudice lo riceva – “ti deve chiedere una cortesia semplice” – sia stato trascritto erroneamente dalla Squadra mobile in Gerardo Bigotta. Un cognome sconosciuto nel comprensorio avellinese, presidiato, di talché non vi può essere una garanzia assoluta che l’elettore sia da solo e che dunque il voto sia realmente ‘personale’ e ‘libero’; sia – successivamente – con la sua ‘comunicazione’ alle sedi consolari, specie ove la segretezza della corrispondenza non sia adeguatamente garantita dal servizio postale locale. Risulta in tal modo evidente il vulnus ai principi costituzionali”. Finito? Nient’affatto: “Il voto per corrispondenza, verso cui si è orientato il legislatore, presenta tali e tante ombre da far persino dubitare che possa definirsi ‘voto’, almeno nell’accezione in cui tale termine è usato dalla Costituzione”.
NELLA CARTA, all’art. 48, si dice (tra l’altro) questo: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto”. Chiosa la giudice: “Personalità, libertà e segretezza non appaiono sufficientemente garantite dal voto per corrispondenza, sia perché il soggetto può mostrare volontariamente a terzi la scheda votata, sia perché può esservi costretto (…) Ne risulterebbe inevitabilmente lesa anche la libertà del voto, poiché solo la segretezza può preservare il voto dai condizionamenti legati all’ambito sociale e fami- ignoto alla rete dei sodali di De Mita. Il sospetto del procuratore capo Rosario Cantelmo e dell’aggiunto Vincenzo D’Onofrio, nato attraverso fonti giornalistiche, è che possa trattarsi di Gerardo Bilotta, ex assessore di fede demitiana e indagato ad Avellino insieme alla moglie di De Mita, Annamaria Scarinzi, in un fascicolo riempito dalle informative della Guardia di Finanza che ipotizzano a va- liare in cui l’elettore vive”.
La Corte costituzionale nel 2003 si è già espressa sulle modalità di voto all’estero (“ma nell’ambito di un conflitto tra poteri”) avallandolo perché avrebbe consentito la più ampia partecipazione, ma il giudice non ritiene “definitivamente risolto il difficile bilanciamento tra l’obiettivo della massima estensione del suffragio e la realizzazione delle modalità che ne garantiscano esse stesse l’effettività”. Insomma, “se l’universalità del voto si affida (anche) alla sua libertà, personalità e segretezza, non si può che concludere che anche il voto degli italiani residenti all’estero debba corrispondere a tali requisiti, in quanto dotato del medesimo ‘peso’ in forza dell’ulteriore principio dell’uguaglianza”. Il legislatore, è la tesi, non può privilegiare “la massima estensione del suffragio (…) sacrificando – inevitabilmente, ove non si eserciti il voto in luoghi presidiati e pubblici – libertà, personalità e segretezza”.
FESTEGGIA Antonio Guadagnini, consigliere regionale di “Siamo Veneto”, tra i promotori del ricorso: “Va bene che la democrazia in Italia è sgangherata, ma rischiano di darle il colpo di grazia facendo votare milioni di persone senza nessun tipo di garanzia e senza prima aspettare la pronuncia della Corte. Abbiamo documentato le irregolarità, le abbiamo denunciate, ora bisogna aspettare la pronuncia dei giudici. Tutti sanno che questo sistema è una truffa. Sarebbe una presa in giro dei cittadini, anche di quelli residenti all’estero”. Quasi impossibile, però, che una pronuncia arrivi prima del 4 marzo.
La lettera del 2013 Gli stessi problemi segnalati al governo dall’ambasciatrice Cristina Ravasi Il voto per corrispondenza, verso cui si è orientato il legislatore, presenta tali e tante ombre da far persino dubitare che possa definirsi ‘voto’, almeno nel senso in cui tale termine è usato dalla Costituzione