La lezione di B. per portare tutti (i vecchi) alle urne
Premessa: essere giovani non è un merito. È un accidente. A tutti capita di esserlo, così come a molti capita invece di diventare vecchi. Da un po’ di anni a questa parte però, gli anziani sono molto più numerosi dei giovani. In quasi tutta Europa si fanno sempre meno figli e sociologi ed economisti spiegano anche così il declino economico del nostro continente. Invecchiando si diventa più prudenti, diminuisce la propensione al rischio e all’innovazione. Non è solo per una questione di esperienza o di saggezza. La verità, secondo uno studio della Yale School of Medicine, è molto più banale: col passare del tempo si riduce la materia grigia nella corteccia parietale posteriore destra del cervello, una zona che secondo gli esperti risulta meno voluminosa in chi tende a essere più pauroso e conservatore.
Questo fatto ha delle curiose conseguenze, anche in campo politico. Non solo perché, come ci dice un proverbio popolare, spesso “chi nasce incendiario, muore pompiere”. Ma anche perché chi è anziano ha più timore del futuro rispetto a chi è giovane, sebbene abbia molti meno anni di vita a disposizione rispetto ai suoi figli e nipoti. Tende cioè a vivere il presente (il suo presente) come fosse il futuro, quel futuro che di fatto per ragioni meramente anagrafiche non gli appartiene.
COSÌ, QUANDO nel Regno Unito si è andati ad analizzare il voto del referendum che ha portato alla Brexit, si è scoperto che il 75 per cento dei votanti sotto i 24 anni aveva scelto di restare in Europa e lo stesso avevano fatto il 54 per cento delle persone al di sotto dei 49. Il leaveaveva invece stravinto tra gli over 65 che, secondo le statistiche, in Gran Bretagna hanno davanti a loro ancora solo 16 anni di prospettiva di vita. Ovviamente questo non vuol dire che i giovani avessero ragione e i vecchi torto. Sul punto ciascun lettore la può pensare come vuole e soprattutto non deve dimenticare che nel Regno Unito l’astensionismo giovanile è stato più del doppio rispetto a quello degli elettori anziani. I giovani, che già partivano numericamente svantaggiati, hanno rinunciato a scegliere. Solo il 36 per cento dei sudditi della regina under 24 è andato alle urne per il referendum.
In Italia il dato dovrebbe far riflettere il Movimento 5 Stelle. Gli ultimi sondaggi (Ixè per Huffington Post) dicono che nel terzo Paese più anziano del mondo (il nostro) il Movimento stravince tra chi ha tra i 35 e i 44 anni di età (quasi il 50 per cento delle preferenze), vince di poco tra gli under 35 (35 per cento dei voti contro il 33,3 del centrodestra), ma perde tra chi ha più di 50 anni, categoria di età dove il consenso scende al 23 per poi calare sotto il 20 negli ultrasessantacinquenni. L’idea che a due mesi dalle elezioni il Movimento possa recuperare terreno tra gli elettori anziani apparendo più rassicurante è bella, ma fuori dalla realtà. Per provare a battere il vecchio che avanza (definizione loro), i pentastellati devono invece prendere lezioni da un vecchio: Silvio Berlusconi. Non ovviamente in fatto di etica o moralità pubblica. Ma in fatto di campagne elettorali. In oltre vent’anni di carriera, l’ottuagenario leader di Forza Italia una cosa l’ha insegnata. Si vince spingendo tutti i propri elettori potenziali ad andare alle urne. Per questo Berlusconi, pur definendosi un moderato, in passato ha sempre condotto campagne dai toni accesissimi. Per creare una contrapposizione, un clima da giudizio universale che evitasse l’astensione dei propri simpatizzanti. Non è un bel modo di fare, lo sappiamo. E nemmeno ci piace. Ma funziona.