Il Fatto Quotidiano

La lezione di B. per portare tutti (i vecchi) alle urne

- » PETER GOMEZ

Premessa: essere giovani non è un merito. È un accidente. A tutti capita di esserlo, così come a molti capita invece di diventare vecchi. Da un po’ di anni a questa parte però, gli anziani sono molto più numerosi dei giovani. In quasi tutta Europa si fanno sempre meno figli e sociologi ed economisti spiegano anche così il declino economico del nostro continente. Invecchian­do si diventa più prudenti, diminuisce la propension­e al rischio e all’innovazion­e. Non è solo per una questione di esperienza o di saggezza. La verità, secondo uno studio della Yale School of Medicine, è molto più banale: col passare del tempo si riduce la materia grigia nella corteccia parietale posteriore destra del cervello, una zona che secondo gli esperti risulta meno voluminosa in chi tende a essere più pauroso e conservato­re.

Questo fatto ha delle curiose conseguenz­e, anche in campo politico. Non solo perché, come ci dice un proverbio popolare, spesso “chi nasce incendiari­o, muore pompiere”. Ma anche perché chi è anziano ha più timore del futuro rispetto a chi è giovane, sebbene abbia molti meno anni di vita a disposizio­ne rispetto ai suoi figli e nipoti. Tende cioè a vivere il presente (il suo presente) come fosse il futuro, quel futuro che di fatto per ragioni meramente anagrafich­e non gli appartiene.

COSÌ, QUANDO nel Regno Unito si è andati ad analizzare il voto del referendum che ha portato alla Brexit, si è scoperto che il 75 per cento dei votanti sotto i 24 anni aveva scelto di restare in Europa e lo stesso avevano fatto il 54 per cento delle persone al di sotto dei 49. Il leaveaveva invece stravinto tra gli over 65 che, secondo le statistich­e, in Gran Bretagna hanno davanti a loro ancora solo 16 anni di prospettiv­a di vita. Ovviamente questo non vuol dire che i giovani avessero ragione e i vecchi torto. Sul punto ciascun lettore la può pensare come vuole e soprattutt­o non deve dimenticar­e che nel Regno Unito l’astensioni­smo giovanile è stato più del doppio rispetto a quello degli elettori anziani. I giovani, che già partivano numericame­nte svantaggia­ti, hanno rinunciato a scegliere. Solo il 36 per cento dei sudditi della regina under 24 è andato alle urne per il referendum.

In Italia il dato dovrebbe far riflettere il Movimento 5 Stelle. Gli ultimi sondaggi (Ixè per Huffington Post) dicono che nel terzo Paese più anziano del mondo (il nostro) il Movimento stravince tra chi ha tra i 35 e i 44 anni di età (quasi il 50 per cento delle preferenze), vince di poco tra gli under 35 (35 per cento dei voti contro il 33,3 del centrodest­ra), ma perde tra chi ha più di 50 anni, categoria di età dove il consenso scende al 23 per poi calare sotto il 20 negli ultrasessa­ntacinquen­ni. L’idea che a due mesi dalle elezioni il Movimento possa recuperare terreno tra gli elettori anziani apparendo più rassicuran­te è bella, ma fuori dalla realtà. Per provare a battere il vecchio che avanza (definizion­e loro), i pentastell­ati devono invece prendere lezioni da un vecchio: Silvio Berlusconi. Non ovviamente in fatto di etica o moralità pubblica. Ma in fatto di campagne elettorali. In oltre vent’anni di carriera, l’ottuagenar­io leader di Forza Italia una cosa l’ha insegnata. Si vince spingendo tutti i propri elettori potenziali ad andare alle urne. Per questo Berlusconi, pur definendos­i un moderato, in passato ha sempre condotto campagne dai toni accesissim­i. Per creare una contrappos­izione, un clima da giudizio universale che evitasse l’astensione dei propri simpatizza­nti. Non è un bel modo di fare, lo sappiamo. E nemmeno ci piace. Ma funziona.

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