Così Facebook sfida Youtube (ed evita la grana copyright )
Nel mondo digitale non esistono automatismi, soprattutto quando si parla di diritti d’autore. Ecco perché in meno di venti giorni Facebook ha siglato il suo secondo accordo per permettere agli utenti di utilizzare liberamente brani musicali da associare ai propri video ed evitare da un lato di perdere milioni di dollari in contenziosi per la violazione del copyright, dall’altro di eliminare contenuti che dovessero violarlo.
L’ULTIMA INTESA è con la Sony Music, di cui non si conoscono i dettagli economici, ma quelli pratici: gli utenti di Facebook (ormai oltre due miliardi) possono attingere al catalogo Sony/ATV Music Publishing per le colonne sonore dei loro video. Tre milioni di brani (tra cui, spiegaBloomberg, anche la musica di Ed Sheeran o Taylor Swift) e la possibilità per gli artisti di guadagnare in royalties anche sul social network di Zuckerberg.
Il 22 dicembre, l’azienda aveva chiuso un altro accordo con la Universal Music Group, la major controllata dalla francese Vivendi (la stessa che da agosto è azionista di riferimento di Tim) per un accesso progressivo al suo catalogo musicale. Già allora si parlò della volontà di sfidare Youtube e quindi Google (o meglio, l’azienda madre Alphabet) nel campo della musica, dei video e quindi della pubblicità. Non dovrebbe mancare molto, se- condo i rumors, a quello con la Warner. Accordi che non riguardano solo la platea di Facebook ma anche Instagram (la piattaforma di condivisione foto su cui spopolano le Stories, brevi sequenze foto e video) e Oculus, che invece nasce per la realtà virtuale. Secondo gli ultimi dati, solo nel 2017 Facebook ha ricevuto 224.464 segnalazioni di contenuti che violavano la proprietà intellettuale. Segnalazioni che hanno portato alla rimozione di quasi 2 milioni di contenuti, 1.818.794 per essere precisi. Su Instagram le segnalazioni sono state 70.008 e hanno portato alla rimozione di 685.996 contenuti. A luglio la piattaforma aveva acquisito una startup specializzata nel riconoscimento della proprietà intellettuale nei contenuti generati dagli utenti. Anche in questo caso, il riferimento è la tecnologia già sviluppata ed utilizzata da Youtube (Content Id). Secondo gli esperti, ora Facebook ha tutte le basi per sfondare tanto come piattaforma video che come piattaforma di streaming musicale (ipotizzando così anche la gara con Spotify).
QUALI che siano i piani futuri, con queste nuove mosse nel mercato digitale prosegue l’era di adeguamento e competizione. Se nel cam- Mila: le segnalazioni ricevute da Facebook nel 2017 per contenuti che violavano la proprietà intellettuale Milioni: i contenuti rimossi a seguito delle segnalazioni Mila: i contenuti rimossi da Instagram per violazione di copyright a fronte di oltre 70 mila segnalazioni po musicale tradizione e innovazione sembrano incrociarsi e provare ad andare d’accordo – complice la necessità di evitare le violazioni – tra i big dello streaming video (animazione, film, telefilm e documentari) è in corso una battaglia feroce: a metà dicembre la Disney ha comprato per 52 miliardi di dollari la 21st Century Fox, incluse le attività cinematografiche, i canali televisivi negli Usa, in Asia e in Europa, dove ha rilevato il 39 per cento di Sky Europe della famiglia Murdoch e anche il 60 per cento della piattaforma di streaming video, Hulu. L’obiettivo è lanciare una piattaforma che faccia concorrenza a Netflix e Amazon (anche rimuovendo i propri prodotti dai loro database) entro il 2019.
Il valoredella fusione Fox e Disney: la competizione è anche per i video I numeri
GIÀ DEFINITA come un’operazione che rischia di generare un oligopolio mediatico, la fusione dovrà comunque essere approvata nel 2018 dal Dipartimento di Giustizia americano. “Ma mi aspetto che vedremo la stessa cosa che si è verificata in passato quando i regolatori hanno tentato di controllare la struttura proprietaria di altri conglomerati dei media – ha spiegato a The Conversation Margot Susca, docente all’ American University School of Communication – : una massiccia campagna di lobbismo. La Disney spende già milioni di dollari ogni anno per esercitare pressioni sul Congresso, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, la Federal Communications Commission e l’Ufficio del Rappresentante degli Stati Uniti”.