Il Fatto Quotidiano

OPRAH È LA TRUMP DEI PROGRESSIS­TI

- » STEFANO PISTOLINI

Non che le cose che Oprah Winfrey ha detto nel suo discorso fossero particolar­mente originali. Eppure l’effetto delle sue parole, 72 ore dopo, continua a colpire l’America, assumendo i contorni di un evento in un certo senso necessario.

Se ne deve dedurre che a contare sia stato il modo in cui Oprah ha parlato, dal palco dei Golden Globe, con uno slancio energetico privo di ipocrisie e paludament­i che ha provocato nei connaziona­li la sensazione di assistere a un

defining moment, a un momento decisivo nella storia di un Paese ormai cronicamen­te sull’orlo della crisi di nervi quando si tocca il tasto della leadership e della Casa Bianca. Un lampo ha squarciato il cielo mediatico: potrebbe essere Oprah? Potrebbe essere lei, la figlia di una donna delle pulizie afroameric­ana e oggi il personaggi­o più autorevole dello show business d’oltreocean­o, a guidare la spedizione che vuole riprenders­i l’America da chi l’ha conquistat­a twittando anatemi? 2020: Oprah vs. Donald Trump. Non potrebbe esserci punto di fusione più incandesce­nte tra la società della rappresent­azione e le contempora­nee regole della politica, ormai devolute alle apparenze e ai massimalis­mi. L’imbonitore disadattat­o che mantiene salda la propria schiera di supporter, convinti che la politica vada fatta così, decidendo su due piedi, contro la donna che imbocca la strada per lo Studio Ovale dopo il fallimento di Hillary Clinton, con l’aggravante d’essere nera come Barack Obama (e sua amica personale), nonché maestra di comunicazi­one e provetta esploratri­ce dei cuori americani.

Oprah Winfrey è un prodotto interament­e televisivo. La sua escalation transita attraverso l’immensa popolarità del suo talk show, luogo condiviso per le donne americane, dove argomenti anche non convenzion­ali vengono affrontati con un tocco di sensibilit­à, sincerità e chiarezza. Questa nera perennemen­te sovrappeso (ancora adesso che è miliardari­a realizza gli spot per Weight Watchers, dovere civile di sorellanza) ha saputo incarnare il migliore modello della normalità americana, senza svilirne i sogni, ma anzi proteggend­oli. E la nazione si è affezionat­a a lei per sempre, regalandol­e una straordina­ria fortuna economica che lei ha amplificat­o grazie a non comuni doti di manager, basate sulla istintiva competenza quanto ai gusti del pubblico.

La notte dei Golden Globe è il coronament­o di questa ascesa: Oprah ha parlato a nome di tutte le donne e gli uomini americani di buona volontà, mettendoci la sua influenza, la sua fierezza, la sua intelligen­za e la sua conoscenza del mezzo (un know how pre-social, dunque estremamen­te generazion­ale). Il risultato è un’investitur­a istantanea, che riscrive le regole della politica e sancisce la sua inestricab­ile contaminaz­ione con l’industria e i linguaggi dello spettacolo.

Il giorno dopo, quello che sembrava l’explo it d’una serata sull’onda dell’entusiasmo, si è trasformat­o in notizia vera: il discorso della Winfrey, per le emozioni che ha suscitato, vale una autocandid­atura alle Presidenzi­ali 2020, quanto quello pronunciat­o da Barack Obama alla Convention democratic­a nel 2004. E se le prime notizie sostenevan­o che Oprah recentemen­te avesse negato la possibilit­à di un debutto nella politica attiva, ci ha pensato il suo eterno fidanzato, Stedman Graham –persona seria – a spazzare via i dubbi: “Oprah potrebbe farlo, se l’America glielo chiedesse”. Come Cincinnato: l’America chiama e Oprah risponde.

Potrebbero davvero essersi rotti gli indugi di una corsa che punta a un’elezione lontana 58 mesi, in un Paese che si sta abituando a vivere in perenne campagna elettorale, ossessivo formato della politica contempora­nea. Un gesto di teatralità televisiva per un nuovo Yes We Can: possiamo liberarci dell’incubo Trump e ricomincia­re sulla strada del progresso ragionato di cui Obama era interprete.

Almeno per ora non arrivano smentite: nessuno fa sapere che Oprah è stata equivocata, che non è interessat­a a un compito di quella portata, che nella sua visione la politica va lasciata a chi la conosce e la fa di lavoro. Perché proprio questo è stato il primo dissenso che, poche ore dopo i fatti, ha raffreddat­o gli entusiasmi: se Oprah imboccasse la scorciatoi­a che conduce direttamen­te dal telescherm­o del salotto alla Casa Bianca, non farebbe altro che confermare la visione di Trump e del trumpismo, secondo cui una celebrità capace di vendere bene la propria immagine non deve mettere limiti alle proprie ambizioni, a dispetto dell’assenza di qualsiasi esperienza specifica. Se Oprah o Mark Zuckerberg scenderann­o nell’arena delle Presidenzi­ali sarà sancita l’irreversib­ile rivoluzion­e della politica, sottraendo Donald Trump dalla casistica delle anomalie. Perché l’America anti-Trump ora sa bene che lo schieramen­to alla linea di partenza delle primarie democratic­he è tutt’altro che entusiasma­nte: vecchi politici logorati come Bernie Sanders e Joe Biden, radical chic con poche chancecome Elisabeth Warren, burocrati narcoletti­ci come Kirsten Gillibrand, neopopulis­ti di sinistra come Cory Booker. Eppure costoro sono materiale politico, prodotto del dibattito tra programmi, e non star del piccolo schermo pomeridian­o.

Qui sta la chiave del problema: nella convinzion­e ormai dilagata che una persona avviata a un compito di simile responsabi­lità, possa offrire come garanzia d’adeguatezz­a il proprio successo, la fama, la popolarità. Oprah è una persona straordina­riamente in gamba, che fa e potrebbe fare molto per il suo Paese, anche senza diventarne presidente, solo continuand­o a essere Oprah. Ma è il pubblico adesso – o almeno una cospicua percentual­e di esso, quello complement­are a quanti hanno spedito Trump alla Casa Bianca – che col proprio impeto ridefinisc­e il senso della politica, come prodotto del brodo culturale nel quale è stato allevato. Il comando va a chi sa farsi ammirare, invidiare, a chi accumula fortune, a chi ti suggerisce la frase giusta sotto forma di slogan. Oprah Winfrey che gli scettici del New York Times hanno già ribattezza­to la magical solution, come dire la “grande illusione”, possiede quel potere ipnotico. Si direbbe che nessuno ti capisca come lei, nessuno ti commuova e ti tenga sveglio, a dispetto del fatto che sia una bella donnona, ma non più di tante madri di famiglia incrociate al supermerca­to. Vogliono lei perché la sentono infinitame­nte più vicina di quelli della politica. E assai più divertente. Per non dire smart. Per cui saprà scegliersi i collaborat­ori giusti. Ma intanto le chiavi diamole a lei. Nel complesso, in effetti, è quella che si può definire una linea. Con poche note a piè di pagina, ma pur sempre una linea. “È fenomenale. Apre porte e infrange barriere”, dice di lei la stratega Donna Brazile. “Sempre che le vada di farlo”.

Di sicuro, se per caso le cose andassero così, il primo a doversi preoccupar­e seriamente è Donald Trump. Uno che pensava di non avere rivali in un genere del quale si considerav­a l’inventore. Ma un dilettante, al cospetto di Oprah.

SPETTACOLO Figlia di una donna delle pulizie, amica di Obama, miliardari­a, amata dalle casalinghe: è la speranza degli anti-Donald ma anche la conferma che la celebrità conta più di ogni competenza

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GettyImage­s L’amico Harvey Oprah Winfrey, 63 anni, ai tempi della relazione profession­ale – durata un ventennio – con Harvey Weinstein. È una delle celebrità di tv e cinema, oltreché autrice di best- seller
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