Procura di Roma: nessuna delega alla Finanza per fare l’indagine
L’esplosiva inchiesta fu fatta senza gli esperti della Finanza. Ora una cappa da segreto di Stato
Achi affidereste l’indagine su un complicato omicidio: a un vigile urbano o alla polizia scientifica? L’ipotetico insider trading di Matteo Renzi e Carlo De Benedetti, dal punto di vista finanziario, sarebbe un delitto davvero complesso: l’ipotesi che un presidente del Consiglio possa macchiarsi di un reato come l’insider trading , spifferando in anticipo un decreto, per di più a uno degli editori più influenti del Paese, è infatti giuridicamente inedita e, se fosse provata, rappresenterebbe un unicum di caratura mondiale. L’affidereste a un perito o al corpo più specializzato in indagini finanziarie, ovvero il Nucleo speciale di polizia valutaria?
DI CERTO sappiamo che il 1° giugno 2016 il pm Stefano Pesci ritiene l’ipotesi di reato insussistente: chiede l’archiviazione dell’unico indagato, il broker Gianluca Bolengo (per ostacolo alla vigilanza), che si occupò delle transazioni dell’ingegner De Benedetti – 5 milioni puntati su azioni delle banche popolari, con guadagno di 600 mila euro (in tre giorni). La Procura guidata da Giuseppe Pignatone non ha dubbi: nessun reato. Non solo. La telefonata del 16 gennaio 2015 (in cui De Benedetti dice al suo broker di aver saputo da Renzi del decreto per trasformare le Popolari in Spa) doveva restare segreta. In omaggio al segreto d’ufficio, certo, al punto che ieri la Procura ha aperto un fascicolo per scoprire l’autore della fuga di notizie.
I confini del top secret, però, stanno raggiungendo in que- ste ore dimensioni surreali. Proviamo a porre a un investigatore la seguente domanda: vi è stata delegata l’indagine? E per quanto tempo? Ci viene detto: non è possibile alcuna risposta. Il motivo? La Procura di Roma per “ragioni di opportunità” ha imposto sulla vicenda il riserbo più assoluto. Bene, ma quali “motivi d’opportunità” possono impedire a un investigatore di riferire se gli è stata affidata un’indagine oppure no? Non vi sarebbe alcuna violazione del segreto d’ufficio. È legittimo chiedere a chi, la procura di Roma, ha affidato il compito di indagare sul più clamoroso e destabilizzante caso di insider trading mai avvenuto in Italia.
Siamo di fronte a un’inchiesta che: 1) ipotizza un reato finanziario; 2) coinvolge l’ex presidente del Consiglio ( Renzi) e il presidente del Gruppo Espresso (De Benedetti); 3) riguarda la compravendita di azioni delle banche popolari. La procura ha coinvolto il corpo più competente, ovvero la Guardia di Finanza, e il suo reparto più preparato, ovvero il Nucleo speciale di polizia valutaria? È come immaginare le indagini su Cosa Nostra senza il Ros dei Carabinieri o lo Sco della polizia di Stato. È legittimo chiedere a chi siano state delegate queste indagini: perché, appunto, pur rispettando la libertà dei pm d’affidarle a chi ritengono opportuno, non è indifferente sapere se su un omicidio abbia indagato un vigile urbano o la polizia scientifica. E quest’inchiesta, per quanto risulta al Fatto, non fu delegata alla Guardia di Finanza. Tantome- no al Nucleo speciale di polizia valutaria.
PERCHÉ MAI? Eppure, alla Procura di Roma, proprio dalla Gdf e dal Nucleo speciale di polizia valutaria, giunse nel 2015 la prima annotazione sulla vicenda. Fu il Nucleo speciale di polizia valutaria - che ricevette dalla Consob i brogliacci delle telefonate, inclusa quella in cui De Benedetti parla di Renzi - a stendere la prima annotazione. E poi? Il tutto – per quanto ci risulta - si fermò lì. La Gdf, su questa vicenda, non fu mai investita del compito di indagare. Viene da chiedersi perché. Viene da chiedersi: com’è possibile che un’inchiesta così delicata, dai contorni giudiziari così complessi (è giuridicamente possibile imputare l’insider trading a un premier che rivela l’informazione riservata dell’imminente decreto?), dalle conseguenze potenzialmente così devastanti, sia affidata solo a due periti della Procura e all’esito dell’interrogatorio di Renzi e De Benedetti? Bisogna prenderne atto: la tesi della procura, nella richiesta di archiviazione, si concilia perfettamente con la difesa di De Benedetti: se davvero avesse saputo con certezza del decreto, avrebbe investito molto più di 5 milioni. Bene. Bisogna anche prendere atto, però, che al di là di quell’iniziale annotazione, fino alla richiesta di archiviazione, i nostri più esperti investigatori in indagini finanziarie non furono mai attivati. Al Fatto non risultano deleghe né intercettazioni ulteriori, né informative. E questa notizia – oggi – dovrebbe restare top secret. Eppure, esiste ancora una differenza tra il segreto d’indagine e il segreto di Stato. Ma quando c’è Renzi di mezzo, a Roma, c’è chi fa confusione.
Quel che è emerso Senza i finanzieri tutto è rimasto in mano ai periti e agli interrogatori
L’unicum
Eppure mai si era ipotizzato un insider trading che potesse coinvolgere il premier