Un po’divisi, un po’ alleati: LeU sì a Zingaretti, no a Gori
Nel Lazio Lorenzin rinuncia al simbolo e l’ex centrosinistra va verso il sostegno unico al governatore. In Lombardia la sinistra vuol sbarrare la strada al candidato renziano: oggi si vota
“Che l’unità è meglio delle divisioni è come dire ‘viva la mamma’: ci stiamo lavorando, non abbiamo bisogno di appelli, non funzionano, gli elettori non li ascoltano”. Quando Pier Luigi Bersani ha preso in mano di buon mattino la mazzetta dei giornali e ha trovato l’ennesimo richiamo ai buoni sentimenti rivoltogli, dalla prima pagina del maggior quotidiano di area dem, dai padri nobili Romano Prodi e Walter Veltroni e dalla segretaria della Cgil, Susanna Camusso, non l’ha presa bene.
“SIAMO PRONTI ad accettare proposte serie, l’importante è che non sia un’ammucchiata contro la destra o un accordo tra gruppi dirigenti, serve una proposta alternativa di sinistra rispetto a quella della destra”, scandisce subito dopo alle agenzie il leader di Liberi e Uguali, rilevando che al momento ci sono più possibilità di un accordo sul sostegno alla candidatura di Nicola Zingaretti nel Lazio che di Giorgio Gori in Lombardia.
L’alleanza “unitaria” alle Regionali con il Pd in effetti è diventato un altro terreno per i duelli ormai a distanza con i renziani che, con il capogruppo alla Camera Ettore Rosato, si dicono pronti a sedersi al tavolo con LeU, c’è chi dice più alla ricerca di una legittima- zione postuma o di un’abiura che di un accordo politico e programmatico per il futuro. La pietra dello scandalo nel Lazio si chiama “Civica popolare”. Le quotazioni della lista promossa dalla ministra alfaniana Beatrice Lorenzin, che in un primo momento sembrava aver fatto breccia nel campo di Zingaretti, sembra- no drasticamente calate. Lo stop alla Lorenzin era al primo posto nelle condizioni poste dai vecchi compagni di partito al governatore uscente per ottenere il sostegno della “sinistra sinistra” alla sua rielezione. La presenza della famiglia Lorenzin sul carro di Zingaretti sarebbe stata ridimensionata e ricon- dotta dal governatore alla candidatura, in una lista di moderati, del fratello della ministra. Nella situazione opposta, rispetto alle posizioni della formazione guidata da Pietro Grasso, la corsa al Pirellone di Gori che, dato comunque per perdente nel confronto con il competitor del centrodestra Attilio Fontana, appare sempre più incapace, seppure controvoglia, di scaldare il nocciolo duro e identitario, appena ritrovato, della sinistra lombarda. Un’area alla quale non è piaciuto nemmeno lo slogan “migliori sta ” scelto da Gori per la campagna elettorale: “Fare, meglio” (e non fare qualcosa di diverso) di Roberto Maroni. L’ex direttore di Canale 5 e di Italia 1 è considerato il campione del “renzusconi” e anche l’adesione al referendum autonomista promosso dal governatore leghista non ha certo migliorato la sua immagine tra i bersaniani di Mdp che oggi si riuniscono a Cinisello Balsamo per ufficializzare con Sinistra italiana e Possibile il “no” a Gori.
“IO PARTECIPERÒ all’assemblea in Lombardia per indicare il candidato di Liberi e Uguali alla Regione”, annuncia il segretario di SI, Nicola Fratoianni, che chiude così la porta a ogni possibilità di intesa con i dem in Lombardia. Discorso diverso per quanto riguarda il Lazio. “Lì c’è una discussione aperta, vediamo”, concede Fratoianni, dopo che Sinistra italiana aveva prefigurato come candidato alla Regione l’ex consigliere comunale Paolo Cento, in aperta polemica con la ventilata alleanza pro-Zingaretti che in fin dei conti, avvertiva Massimo D’Alema “non è Renzi”. A toccare il nervo scoperto dai tentativi di ricompattamento dell’ex centrosinistra ci pensa a sorpresa la deputata di FdI, Daniela Santanchè: “Forse si sono resi conto di non contare nulla da soli e allora tornano sui loro passi, a dimostrazione che la coerenza non è di questa politica”.
Pressing di Prodi&C. Bersani respinge l’appello di ‘padri nobili’ e della Cgil: “Gli elettori non si convincono così”