Gran parte dell’ultimo rincaro serve a fare uno sconto a 2.800 grandi aziende, dalla Marcegaglia a Boccia (Confindustria)
salasso è rinviato di un anno, quando scatterà l’ultima parte della riforma delle tariffe domestiche. La riforma tariffaria pensata nel 2015 è “tale da stimolare comportamenti virtuosi da parte dei cittadini, favorire il conseguimento degli obiettivi di efficienza energetica” abbandonando la progressività (il prezzo dell’energia sale al crescere del consumo). Ma la conseguenza è che chi consuma poco subirà aumenti pesanti. Secondo le stime della stessa Autorità, chi ha consumi medi di 1.500 kWh per anno avrà aumenti di 80 euro, chi consuma 2.700 kWh soltanto di 20. A metà dicembre l’Aurorità ha quindi deciso di rinviare questo aggravio, anche perché il Parlamento non ha mai approvato gli strumenti di protezione delle fasce più fragili che la legge sulla Concorrenza prometteva di introdurre entro 180 giorni.
Una riforma poco lungimirante ha poi scaricato sulle bollette un’altra fonte di spesa di cui i cittadini non sono neppure consapevoli. Fin dagli anni Novanta esistono i titoli Tee, noti come “ce r t if i c at i bianchi”, emessi dal Gse, la società pubblica del Gestore dei servizi energetici. Se un’impresa non è in grado o non vuole aumentare la propria efficienza energetica, “compra” quella ottenuta da altre aziende più virtuose. Il Gse intermedia. Lo scopo è incentivare l’efficienza energetica trasformando l’inquinamento in una specie di tassa. Fino al 2016 il prezzo di questi certificati bianchi oscillavano tra gli 87 e i 115 euro. Poi il prezzo è esploso fino a 355 euro. La situazione è paradossale: il prezzo dei “certificati bianchi” è ormai superiore al valore dell’energia risparmiata (alle aziende converrebbe risparmiare direttamente invece che comprare l’efficienza energetica altrui). È il segno che il meccanismo è degenerato in un mero casino di speculatori. E nel mercato dei certificati l’efficienza è incentivata a spese dei consumatori: il costo dei sussidi è scaricato sulla bolletta. Secondo le stime dell’Autorità dell’energia, il costo di questa bolla è stato di 1,4 miliardi nel 2016 e di 2,3 miliardi nel 2017, tutti pagati da noi con le bollette. Soldi che in gran parte non hanno stimolato le imprese a diventare più “verdi” ma sono diventati profitti per gli specialisti del settore (le aziende Esco, Energy Service Company) e per i distributori di energia. E noi clienti paghiamo senza lamentarci.
SE GUARDIAMOalle variazioni del prezzo di questi ultimi anni, è molto chiaro quello che è successo: il prezzo della materia prima è sceso – per il calo del prezzo del petrolio e l’aumento di fonti rinnovabili – e governo, autorità e tutti i protagonisti del settore ne hanno approfittato per scaricare in bolletta aumenti di cui quasi non ci siamo accorti, ma che ci hanno privato di un potenziale risparmio e rimarranno lì quando il prezzo della materia prima salirà di nuovo. Un consumatore tipo tra 2011 e 2017, al netto degli aumenti 2018, ha visto salire la bolletta del 21,1% e questo mentre il prezzo della materia prima calava dell’1,7%. Nel frattempo, però, la spesa per il trasporto saliva di quasi il 60%, gli “oneri di sistema” del 95,4 e le imposte del 12,6%. Un salasso di cui, neppure ora in campagna elettorale, non parla nessuno.
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