Il Fatto Quotidiano

REGENI, 2 ANNI DI DISTRAZION­I SU CAMBRIDGE (E PRO AL-SISI)

Distrazion­e dimassa Si vuol accreditar­e la tesi che il segreto della morte del 28enne vada cercato a Cambridge più che al Cairo: così il ruolo del regime di al Sisi si sfuma

- » GUIDO RAMPOLDI

Adue anni dall’assassinio di Giulio Regeni la verità pare finalmente vicina. O almeno sappiamo dove cercarla: negli oscuri ambienti accademici dell’università di Cambridge che cinicament­e usarono il ricercator­e per costruire una cospirazio­ne filo-islamica, forse anti-italiana. Il fatto che Regeni sia stato ucciso al Cairo e non a Cambridge pare avere una qualche rilevanza ma anche su quel fronte, buone notizie: la Procura egiziana, incalzata dal nostro governo, ha mandato importanti carte a Roma, così dimostrand­o, lo certifica il ministro Minniti, la volontà di al Sisi di collaborar­e alla scoperta della verità, da cui evidenteme­nte il feldmaresc­iallo non ha da temere. Questa è grossomodo la sintesi di quanto si è letto e ascoltato in questi giorni, ed è abbastanza per porre con urgenza la domanda che aleggia da due anni sopra questa per nulla oscura vicenda: l’Italia ha ancora un’informazio­ne o ha deciso di farne stoicament­e a meno? La seconda, potremmo rispondere ripercorre­ndo le contorsion­i di cui è stato capace il giornalism­o italiano in questo tempo.

L’arresto e l’uccisione di Giulio Regeni sono eventi nel complesso lineari, nitidi. Segnalato da un informator­e ai servizi segreti egiziani per una vendetta personale o per un malinteso, Regeni fu arrestato nel giorno più temuto dal regime, il 25 gennaio, anniversar­io della rivoluzion­e egiziana spenta dal golpe del 2013, e nei paraggi di un luogo altamente simbolico, piazza Tahir, lì dove la sollevazio­ne cominciò. L’apparato che deteneva il ricercator­e lo torturò per sette giorni e infine lo soppresse intenziona­lmente (con un colpo di karate, accertò l’autopsia), probabilme­nte per evitare che potesse raccontare quel che aveva subito. È verosimile che l’eliminazio­ne di un occidental­e richiedess­e l’autorizzaz­ione dello stesso al-Sisi. In ogni caso in seguito il regime è stato tetragono nel rifiutare la colpa di quella morte. Ma dopo tante sguaiate menzogne, quando infine ha deciso di costruire una versione convincent­e ha finito per scoprirsi. Alla fine di marzo 2016, quasi due mesi dopo la morte di Regeni, la polizia attribuì l’omicidio a 5 egiziani morti in uno strano ‘scontro a fuoco’ con gli agenti.

QUANDO PERÒ l’ambasciata italiana e il legale dei Regeni, la combattiva Alessandra Ballerini, tentarono di vederci chiaro, emerse che i documenti del ricercator­e, secondo il regime trovati in casa di uno degli egiziani uccisi e perciò ‘prova’ della loro responsabi­lità, in realtà erano stati portati lì da un ufficiale della polizia. Un ufficiale di cui, da allora, la Procura di Roma conosce il nome.

Questo clamoroso autogol obbligò l’informazio­ne italiana e i suoi molteplici ispiratori ad abbandonar­e la tesi propalata fino a quel giorno da grandi giornali e tg: Regeni ucciso da nemici dell’Italia e di al-Sisi per rovinare i proficui rapporti di amicizia intessuti da Roma e dal Cairo. Lo stesso al-Sisi l’aveva fatta propria in una intervista a Repubblica nella quale aveva ricordato tanto i motivi che lo rendevano prezioso all’Italia, dai giacimenti dell’Eni all’influenza egiziana sulla Libia orientale, quanto l’amicizia e la stima, ricambiati, che lo legavano a

25 gennaio 2016 Quella sera, tra le manifestaz­ioni in ricordo delle rivolte del 2011, il ricercator­e sparì

Renzi. All’epoca quasi tutta l’informazio­ne era renziana, l’Eni rappresent­a un grande inserzioni­sta e al-Sisi appare tuttora a molto giornalism­o il ‘male minore’, un tiranno ‘filo-occidental­e’ che tiene a bada ‘gli islamici’ con inevitabil­e brutalità. La somma di questi fattori dà come risultato un’informazio­ne altamente omissiva, costruita sul rifiuto di mettere in relazione l’uccisione di Regeni con i metodi di un regime golpista che si è presentato al mondo massacrand­o 1200 dimostrant­i e sbranandon­e centinaia nelle sue sale di tortura.

A NOI INTERESSA solo la morte di Giulio Regeni, almeno ufficialme­nte. Sicché se al-Sisi ci consegnass­e tre sgherri qualunque, torneremmo a salutarlo renzianame­nte, come ‘grande amico’, ‘statista’ e ‘salvezza del Mediterran­eo’. Ma poiché neppure questo ripiegamen­to tattico pare nelle intenzioni del regime, per il governo italiano sta diventando complicato conciliare due obiettivi divergenti, non irritare il Cairo e allo stesso tempo fingere di tener fede a un’indefettib­ile desiderio di verità.

Ecco allora prendere quota la variante denominata ‘la pista Cambridge’. Avvalorata da Renzi e dal ministro degli Esteri Alfano con dichia- razioni severe, vuole che la tutor di Regeni nasconda il segreto della sua morte, presumibil­mente un piano cospirativ­o finanziato con diecimila sterline. Vi alludono cronache giudiziari­e fumose nelle quali ciò che pare certo nel primo capoverso diventa dubbio già nel terzo. Peraltro una conoscenza anche minima dell’Egitto dovrebbe suggerire che l’unico ambiente in cui può davvero maturare una cospirazio­ne contro al Sisi, il vertice militare, non è raggiungib­ile dagli accademici di Cambridge. Ma fare di Regeni la vittima di un regolament­o di conti tra servizi segreti pare ridimensio­narne lo scandalo della morte. E spostare l’attenzione sulla ‘ pista universita­ria’ aiuta a far accettare che al-Sisi torni a essere nostro interlocut­ore. In dicembre, riferivano i giornali italiani senza tradire perplessit­à, il dittatore ha espresso al ministro dell’Interno Minniti “la sincera volontà” di ottenere “risultati definitivi” nell'inchiesta. A sua volta Minniti è stato al copione: ha ribadito che l’Italia “pretende la verità” e ha salutato la consegna agli italiani di nuova documentaz­ione come prova di rinnovata collaboraz­ione. In quelle carte c’era poco, ma questo è stato taciuto ai fiduciosi lettori. L’importante è che la commedia vada avanti, dato che nessuno sa come chiuderla. Ma dove l’informazio­ne diventa teatro su commission­e, recitazion­e di testi suggeriti da poderosi committent­i, o perlomeno strumento docile del sistema-Paese, cosa resta di una democrazia?

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LaPresse/Ansa Morto un raìs se ne fa un altro Manifestaz­ione al Cairo per il 25 gennaio, quando si dimise Mubarak. Al Sisi e, sotto, Regeni
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