Beatrice Lorenzin e il partito del nulla generato dal nulla
Adispetto delle molte critiche, Beatrice Lorenzin va difesa e anzi amata: il solo fatto che una come lei sia stata confermata ministro per tre governi di fila, peraltro uno peggiore dell’altro, ci insegna che tutto è possibile. E di questo dobbiamo esser lieti, giacché nulla nella vita ci è precluso a prescindere. Prim’ancora che donna e politico, Lorenzin pare voler assurgere a prova vivente di come la competenza sia talora in Italia null’altro che mero orpello: meglio, dunque, inseguire una costante provvisorietà. La nostra eroina, negli anni, ha fatto parlare di sé per cose bellissime: una campagna promozionale sulla fertilità che sarebbe parsa retrograda anche ai bei tempi fiammeggianti dell’Inquisizione; il varo di un partito di cui nessuno sentiva la mancanza, perfetto quindi per la Lorenzin; e la guerra santa per vaccinare tutti noi, mondandoci dalle malattie ma possibilmente anche dai peccati, perché nel mondo illibato della beghina Beatrice siamo ancora dalle parti del “fate l’amore per procreare altrimenti andrete all’Inferno”.
Andiamo però con ordine. Beatrice Lorenzin nasce a Roma nel 1971. Lavora al quotidiano Il giornale di Ostia (non è una battuta) per poi entrare con baldanza in Forza Italia. Dal 2004 al 2006 è capo della Segreteria Tecnica di Paolo Bonaiuti (non è una battuta). Eletta una prima volta deputata nel 2008, si batte coraggiosamente per un tema decisivo per noi tutti: la cancellazione dei libri elettronici nella scuola italiana. Nel 2013 il centrodestra pensa a lei come candidata governatrice nel Lazio, poi però Berlusconi si rende conto che se c’è da perdere tutto sommato basta anche Storace.
ELETTA DEPUTATAuna seconda volta nel 2013, per un po’ resta in Forza Italia e poi – a conferma di una neanche troppo latente perversione politica – viene folgorata sulla via di Alfano, Letta e Renzi. Pur avendo meno elettori del Poro Asciugamano, comincia per lei una straordinaria carriera da ministro: i governi cadono, ma lei no. Anzi. Nessuno sa perché sia lì, e ancor più con quali voti, ma lei non molla. Si adatta a tutto, come una statista simbionte. Assai camaleontica, Lorenzin è una sorta di Alfana bionda. Ogni tanto, mai troppo, va in tivù. Qui recita la parte di colei che ascolta le critiche, e intende pure farne tesoro, con quel garbo efferato (ossimoro che le sta a pennello) di chi da una parte fa la tollerante e da ll’altra sembra pronta a scatenarti contro l’esercito puritano di Cromwell. Nel 2016 gli spot del suo Fertility Day sono così tremebondi che persino Renzi ci prende: “Tecnicamente parlando è inguardabile dal punto di vista della comunicazione. Lorenzin ha posto un tema vero di mancata crescita demografica. Ma lo hanno detto in un modo che fa alzare i capelli anche a Berlusconi”. Qualsiasi altra “politica” si sarebbe ritirata in un eremo, o al limite in una dacia (ultimamente van di moda). Lei no: tira dritto e regala alle masse il “partito” Civica Popolare, raro caso di nulla generato dal nulla (derivando infatti da una costola alfaniana). Ovviamente, essendo una forza ammantata di sbarazzina impalpabilità, Civica Popolare si è subito alleata con Renzi: chi si somiglia, si piglia (e inciucia). Va però sottolineato come Beatrice Lorenzin, forse per rispondere alle accuse di incoerenza, abbia voluto partorire un simbolo pienamente in linea con il livello dei candidati espressi: un meltin’ pot di colori a caso, un po’ Candy Candy e un po’ daltonismo ebbro. Roba forte. Ah, dimenticavo. Presentandolo al volgo, l’ilare Beatrice ha affermato con orgoglio: “È un simbolo petaloso”. Buona catastrofe.