Il Fatto Quotidiano

Business e minigonne: così spende e spande la Miami dell’Adriatico

C’è chi comanda e chi si diverte La città più americana d’Italia: spiagge, dolce vita e un mare strozzato dal cemento Al timone l’eterno viceré pd Luciano D’Alfonso e i suoi amici

- BUTTAFUOCO E CAPORALE

La vorace Pescara si chiama Pescara e non Castellamm­are Adriatico – il comune più grosso con cui nel 1926 fa un’unica cittadina – per Gabriele d’A nnunzio, il poeta. Il nuovo centro doveva chiamarsi Aterno ma per la santa pace del Capo del Governo, incalzato dal Vate, succede che il piccolo s’ingoia il grande.

A sorvolarla, come a bordo un racconto straniante.

’Nu film che comincia negli anni 80 – con Carol Alt all’ombra delle “palme”, i grandi ombrelloni degli stabilimen­ti, e Ayrton Senna, il più grande dei piloti, alla guida della macchinett­a elettrica – e che continua oggi se solo si sapesse di chi è la strepitosa Mercedes Amg, dal colore senza colore, cromata e basta, parcheggia­ta dal bar Berardo di corso Umberto. È proprio di fronte alla Fontana della Nave, la scultura di Pietro Cascella e anche quell’auto – chissà di chi è – è un monumento di volontà e rappresent­azione nella città della terra e del mare.

“La prima città del Nord che s’incontra salendo, la prima del Sud cui s’arriva scendendo”, dice Lorenzo Sospiri, l’esponente di Forza Italia – oggi all’opposizion­e – cui, per celia, tutti affidano l’onomastica di uno dei due avvenirist­ici ponti (il Flaiano) ribattezza­ndolo “Ponte dei Sospiri”, giusto a suggerire la parodia veneziana che con l’altro grande ponte – del Mare – inaugurato da D’Alfonso, accompagna­to da Dudù, l’azzimato cerimonier­e, magnifica la sfacciata prontezza del mare magno che tutto si magna.

Il mare, allora. Ironico quanto un presocrati­co, Cristiano dell’idrovolant­e Alcyone, ecco il brulicare di un unico sfogo: Pescara è un magnete a forma di triangolo – visto dall’alto – con una rientranza che fa poi da aggancio e trascina a sé Montesilva­no, Silvi Marina, Città Sant’Angelo, Spoltore, San Giovanni Teatino, Francavill­a e pure Chieti. Senza dimenticar­e i 60 mila sfollati del terremoto arrivati dall’entroterra. Numeri che danno la somma al totale.

SONO OTTO COMUNIdi ben tre province (Chieti, Pescara e Teramo), chiamati ad adunarsi ai margini di piazza Salotto, lo slargo elegante dove Ettore Spalletti, scultore tra i più acclamati, si gode la visione della festa di laurea di un giovane zingaro giunto al rinfresco in groppa al suo cavallo bardato di tutto punto.

Pescara è ’nu film. Ricorda Maurizio Ballone, avvocato. Il destriero è lo stesso visto, qualche giorno prima, sul terrazzo di una casa nel quartiere Rancitelli, il nucleo della città vecchia di solo novant’anni, dove la più numerosa comunità stanziale degli zingari residente da sempre alimenta la pellicola di E dei grandi soldi.

’Nu film, Pescara. Dal piccolo Abruzzo alla grande globalizza­zione. Questo è l’andazzo nella città che cresce per addizioni, l’unica – e lo scriveva Guido Piovene nel suo Viaggio in I

talia – “città americana in Italia”, una specie di piccola Los Angeles che assorbe ogni cosa per farne l’esatto contrario.

Come Luciano D’Alfonso – esponente Pd, governator­e della Regione – che di Pescara, anzi la “Grande Pescara” fa il suo trono e di tutto il resto intorno ne fa feudo. Una signoria quella di D’Alfonso – un Remo Gaspari venuto male – dove impera e divide con i suoi fedelissim­i.

UNA SPECIE DI MIAMI è Pescara, vitale, ipercineti­ca, corrotta dalla fame che l’affligge.

Costruire, ricostruir­e, abbattere e costruire di nuovo.

Cemento über alles. Sta per inghiottir­si l’intera regione, tutta di montagne e natura, e farne mare, solo mare di cemento: l’Adriatico lordato dai reflui urbani, interdetto ai tuffi e alle bracciate perché sporco oltre il lecito, qui celebra l’egemonia di un’identità né meridional­e, e neppure settentrio­nale. Paggetti, titolare del Caffè delle Merci e filosofo, che i giornali li tiene in frigo per mantenerne fresche le notizie, racconta il mare che fu: “Da bambino raccogliev­o le stelle marine e accarezzav­o i cavallucci a spasso tra le onde; alla foce del fiume Pescara vi trovavo i gamberetti d’acqua dolce, è il fiume che oggi fa merda del tutto”.

Alle solite: il piccolo fiume e il mare grande – “con il reparto di ginecologi­a”, spiega ancora l’oste, “che registra le impennate di ricovero in estate, quando le ragazze prendono il bagno” – ma la tragedia del ristagno degli inquinanti portati dal fiume forse troverà riparo. Altre opere sono in agguato, e milioni di euro ancora da spendere.

La spiaggia, fa notare Guido Alferj – squillante firma del giornalism­o italiano, già inviato del Messaggero– è dentro casa: “Esci dal supermerca­to, esci dall’ufficio e ce l’hai lì”. La spiaggia basta e avanza, il mare lo guardi solo.

Ed è il segreto che Pescara si tiene in tasca, il mare. Ma come a Ostia, anche qui il mare non si vede. Gli stabilimen­ti fanno muro, il manto di sabbia e delle onde s’intuisce dai piani rialzati delle case e nella proterva e dolce presenza rosata del cielo.

C’è la delicatezz­a dell’assoluto a Pescara e solo Spalletti, che qui ha casa, sa tenerselo tra le dita e lo sa evocare.

Angelo soave qual è, si avvia verso il suo tavolo, alla Paranza, sul lungomare. Gli viene incontro il sindaco Marco Alessandri­ni, sempre bisognoso di consigli – “Cosa posso fare, Maestro, per restituire alla bellezza il mare?” – e la risposta, dolcissima, è sempre una: “Prenda una ruspa che parta dal Porto e strappi la crosta di cemento che nasconde l’Appennino all’azzurro del mare”.

Gli amministra­tori non si sono ancora decisi sulla reale vo- cazione della città, se balneare o portuale ma Alessandri­ni, consapevol­e di avere addosso D’Alfonso, incassa il consiglio di Spalletti e taglia corto, anche perché al porto turistico lo skylineser­ba un pugno in un occhio a chi guarda: 200 mila metri quadri di fanghi puzzolenti a far da montagnett­a, un ingombro che dal 2014 – dopo un impegno di spesa di 13 milioni di euro – attende ancora di essere trasferito in Belgio e lì smaltito, come da accordi presi con la ditta incaricata di dragare la rada.

Tra Bologna e Bari, dunque – tra le città della moltiplica­ta operosità centro-adriatica – sta Pescara: “Potrebbe essere demolita da un giorno all’altro senza pena alcuna ed essere ri-

costruita, una piccola Abu Dhabi senza storia e identità”, dice ancora Spalletti mentre intorno a sé, nel suo studio, le sue opere costringon­o i visitatori alla soggezione, come innanzi al Santissimo nella bella chiesa dei Sette Dolori.

Città culla degli artisti, Pe- scara “Natura morta con bicchiere in mano”, spiega con felice immagine Marco Manzo, giovane editore di Abruzzo Independen­t e però memore di identità clamorose: “Fu officina degli schifanist­i, e anche dell’avanguardi­a del fumetto con Andrea Pazienza e Tanino Li- beratore”.

L’arte, comunque, è il blasone della città ricostruit­a in forma di piccola metropoli. Rasa al suolo dagli americani il 31 agosto 1943( con 5.000 morti in quattro giorni), Pescara risorge dotandosi di una rinascita ordinata con una marea di energie che va a specchiars­i di fronte al mare.

L’arte, appunto. Ricorda Lilli Mandara, penna acuminata e dolente: con Spalletti, al seguito di Germano Celant, arriva Jannis Kounellis, quindi Mario Ceroli, Gino De Dominicis, Joseph Beuys. Ed è anche meta della voce dell’oblio, con Carmelo Bene che da Otranto risale la dorsale adriatica apposta per reclutare a Pescara una ragazza – “un’infermiera per amore dell’arte” – nella pur sempre città de La figlia di

Iorio che ancora oggi non ha un teatro (tant’è che il pescarese D’Annunzio, trionfante autore in tutto il mondo, nel 1904 consegna il manoscritt­o del copione al Marrucino, il teatro di Chieti, a futuro monito più che a futura memoria).

Non è teatro, Pescara. Magari è rassegna letteraria, come l’assai glamour FLA, ovvero Festival Libri e Altre cose curato da Luca Sofri – organizzat­ore de Le merende in spiaggia – o come il Festival Jazz, un appuntamen­to internazio­nale di altissimo livello.

È’nu film. “Tutto è violento e tutto è pacato” annota il Vate a proposito di Iorio e il Far West sta sempre sottotracc­ia in questo outlet del capitale umano.

La violenza, per esempio, è un film. Come quando nel maggio 2012 si scatena una guerra tra gli ultras del Pescara e la comunità degli zingari. Uno di questi regola il conto con una pistoletta­ta. L’ultrà muore nel giro di niente, si scatena il ferro e fuoco e la Questura allora impone un aut aut: o il colpevole, o il peggio. E così, all’autogrill di Francavill­a al Mare, gli zingari consegnano alla polizia il colpevole. Come ’nu film.

DOLCE VITA E VECCHIA POLITICA Vitale come la Florida tra palme e divieti di balneazion­e. Da decenni D’Alfonso tiene le redini

 ??  ?? Il Ponte del mare Costruito nel 2009 è tra i ponti pedonali più lunghi (466 metri). La manutenzio­ne costa 213 mila euro
Il Ponte del mare Costruito nel 2009 è tra i ponti pedonali più lunghi (466 metri). La manutenzio­ne costa 213 mila euro
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 ??  ?? Spiagge addosso A destra, ombrelloni a pochi passi dal centro, uno dei segreti di Pescara
Spiagge addosso A destra, ombrelloni a pochi passi dal centro, uno dei segreti di Pescara
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Versi di D’Annunzio sulla parete di un negozio
Il vate Versi di D’Annunzio sulla parete di un negozio

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