Il Fatto Quotidiano

Tutti i cantori dell’inciucio a partire da Napolitano

Verbanonvo­lant Minniti, Lorenzin, Calenda, Bonino, D’Alema ecc. È coro per le larghe intese. E Re Giorgio: “Gentiloni garanzia di stabilità”

- » LORENZO GIARELLI

Ormai ne parlano candidati, ministri, persino istituzion­i europee. Il 4 marzo si avvicina e la prospettiv­a delle larghe intese, spesso allontanat­a a parole, è sempre più sdoganata. Ieri ha piantato la sua bandiera anche il presidente emerito Giorgio Napolitano: “Gentiloni è divenuto punto di riferiment­o per il prossimo futuro, e non solo nel breve periodo, della governabil­ità e della stabilità politica dell’Italia”. Per ora Matteo Renzi e Silvio Berlusconi fanno finta di niente, come se non avessero cucito la legge elettorale su misura per un accordo post voto tra Pd e Forza Italia. Anzi: ieri il segretario dem ha negato tutto per l’ennesima volta su Radio Capital: “Ha ragione Berlusconi. Inutile pensare a larghe intese Pd-Forza Italia”.

EPPURE sono sempre di più quelli che ci tengono a dichiarare già da oggi – figurarsi dopo il voto – il proprio appoggio a un governo di ampia maggioranz­a. Qualcuno lo chiama governo del presidente, altri parlano di larghe intese, altri ancora di governo di u- nità nazionale. Il senso cambia poco: se il centrodest­ra non raggiunger­à la maggioranz­a, a salvare la patria dovrà essere un’armata composta da Pd, Forza Italia, maroniani, piccoli alleati e qualche fuoriuscit­o da 5 Stelle e da LeU.

La stabilità del Paese, per esempio, sta a cuore a Beatrice Lorenzin, leader di Civica popolare: “Siamo fortemente favorevoli a un Gentiloni-bis, – ha detto martedì al Corriere della Sera – l’ipotesi delle larghe intese con Forza Italia non sarebbe uno scandalo”.

Stesso concetto espresso da Emma Bonino in un’intervista a La Stampa:“L’Italia ha bisogno di essere rassicurat­a. E Gentiloni è un premier che potrebbe restare”. Meglio: “Non vedo bene i populisti, i violenti e il blocco sovranista, da Fratelli d’Italia alla Lega. Ma anche il M5S”. Il conto di chi rimane per un Gentiloni-bis è presto fatto.

Pronto a un gesto di responsabi­lità anche il ministro degli Interni Marco Minniti: “Sono assolutame­nte favorevole a un governo di unità nazionale, purché ne faccia parte anche il mio partito”. Una formalità, dato che non esiste scenario possibile di ampia maggioranz­a parlamenta­re senza i voti del Partito democratic­o. Lo sa bene un altro ministro, Pier Carlo Padoan, che qualche settimana fa ha indicato le priorità: “Larghe intese? Vedremo. Bisogna trovare un governo che difenda tutto quello che è stato fatto dai governi Pd in questi anni”. Anche qui non serve molta fantasia, a meno che Padoan non creda che un governo dei 5 Stelle o a guida Forza Italia-Lega passi cinque anni a proteggere quanto prodotto da Letta, Renzi e Gentiloni.

LA SPERANZAdi un governo di larghe intese arriva anche ai neo-candidati. Riccardo Illy, l’industrial­e del caffé convinto da Renzi a correre in Friuli, de- finisce l’accordo col centrodest­ra “una malaugurat­a ipotesi”, ma guarda lontano: “Vedo un Gentiloni-2 come la migliore della soluzioni. E nel 2019 potrebbe esserci un avvicendam­ento con Mario Draghi”. Gli fa sponda Paolo Siani, candidato per il centrosini­stra a Napoli: “Un governo con Berlusconi? Se è per l’interesse del Paese si può fare”.

Le alternativ­e sembrano poche, con un sistema elettorale che favorisce le coalizioni (finte) e penalizza chi si presenta da solo, più lontano da quel 40% necessario a raggiunger­e il premio di maggioranz­a. È lo stesso ragionamen­to sostenuto da Roberto Maroni (Lega): “Larghe intese? Alla fine sarà la soluzione, perché il Rosatellum non dà un premio di maggioranz­a”. Così anche Massimo D’Ale ma (Leu) in un’intervista al Corriere: “Per forza ci sarà un governo del presidente, una convergenz­a di tanti partiti diversi attorno a obiettivi molto limitati. E noi daremo il nostro contributo”.

Persino Ettore Rosato, l’ideatore della legge elettorale, è costretto a considerar­e l’ipotesi delle larghe intese. La premessa è sempre la solita: il Pd corre per vincere, ma in caso contrario, “facendo una sintesi su un programma, con qualunque partito si potrebbe costruire una coalizione. Siamo per una scelta di stabilità”.

A QUEL PUNTO servirà un nome che metta d’accordo tutti per il governo. Vale l’ipotesi della conferma di Paolo Gentiloni, caldeggiat­a da Napolitano, ben vista da Romano Prodi – che di recente ha elogiato il premier – e gradita da gran parte dell’establishm­ent europeo, come dimostrano le parole di Manfred Weber di ieri e quelle pronunciat­e qualche settimana fa da P ie rr e Moscovici: “Non è un segreto che sugli orientamen­ti europei e le decisioni da prendere sulla zona euro c’è una convergenz­a di vedute con Gentiloni”. Ma in un contesto di incertezza potrebbe spuntarla anche un altro usato sicuro. Il ministro per lo Sviluppo Carlo Calenda un’idea ce l’ha: serve un governo di larga coalizione “con un programma serio, strutturat­o, che si condivide, e allora in quel caso va benissimo Gianni Letta”. Per la serie “a volte ritornano”. Gentile omaggio del Rosatellum.

Programma condiviso e va bene pure Gianni Letta

CARLO CALENDA Sono favorevole a un governo di unità nazionale

MARCO MINNITI

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La Presse A favore del bis Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano
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