Scambiare Placido per Pattavina per rendere Pirandello “proponibile”
Dal “Piacere dell’onestà” a “Sei personaggi in cerca d’autore”, l’importante è “svecchiarlo”
Un anno fa ho scritto sulla mirabile interpretazione del Piacere dell’onestà di Pirandello, regia di Antonio Calenda per lo “Stabile” di Catania: protagonista Pippo Pattavina. Più di recente, di un altro ammirevole Pirandello: i Sei personaggi in cerca d’autore , nell’allestimento del napoletano “Teatro Nazionale”, regia di Luca De Fusco.
I DUE ARTICOLI scaturiscono dalla mia religione pirandelliana; e avevano per comune tema il fatto che quasi non si riesce più a veder messo in scena un dramma del filosofo girgentano col rispetto della didascalia e dello spirito; addirittura, del testo stesso. Ciò vale ormai, ben vero, per Shakespeare, Racine, Molière, Goldoni, Cechov; il caso di Pirandello è aggravato dalla presenza di cretini i quali teorizzano esserne il linguaggio, oltre che il concetto, vecchio e improponibile; doversi quindi “svecchiare” tale linguaggio, per “renderlo attuale” e quindi, in sostanza, render così Pirandello proponibile.
E Pattavina di questa teorizzazione è stato vittima; perché lo “Stabile” della sua città ha preferito privarsi di lui piuttosto che di un regi- sta, tale Michele Placido, che i Sei personaggi ha allestito; “s vec chi and o”, appunto, il testo. Pattavina non ha accettato e ha rinunciato a lavorare; e nessuno lo ha trattenuto. Ciò mi ha particolarmente ferito, giacché speravo che almeno l’orgoglio siciliano intervenisse a difendere il suo sommo drammaturgo; e anche l’orgoglio catanese, essendo la città patria di Angelo Musco, il primo e grande interprete del Berretto a
sonagli; e di Turi Ferro, che, con Salvo Randone, è stato il miglior Ciampa degli ultimi decennî.
Pippo Pattavina è uno dei nostri più grandi attori tragici. Gli attori tragici sono sempre grandi attori comici; il reciproco talora non si dà. Ora egli si è concesso il lusso – lo spettacolo è in scena al catanese “Brancati” – di una serata quasi florile
gio, una propria antologia. Canta, recita poesie in lingua e in siciliano, comiche e tragiche; e regala tre sketches d’avanspettacolo avendo quale compagno, assai più che spalla, il dotatissimo Santo Pennisi, catanese di Acireale.
Certe scenette dei De Rege noi vecchi le abbiamo vi-
Stabile di CataniaHa preferito privarsi di lui piuttosto che di un regista che ha attualizzato il drammaturgo siciliano
ste interpretate da Totò, poi da Walter Chiari con Carlo Campanini; quindi il confronto è intimidatorio come con Randone e Ferro nel “tragico”. Pattavina ha per cifra stilistica l’u nderstatement, un elegante procedere sotto tono; la sua padronanza dei toni vocali – ovviamente recita senza microfono, uno dei pochi rimasti – gli consente quella voce sommessa che gli è propria, ma anche una serie si sfumature timbriche di rara raffinatezza. Così la grassa comicità delle scenette – per esempio la vendita di penne pornografiche: atmosfera anni Cinquanta – diviene talora astratta. Dietro ogni siciliano può esserci un naturale surrealismo, forse inventato da Gorgia da Lentini e poi incarnato suprema- mente da Pirandello. Di tale surrealismo Pattavina è l’ultimo erede isolano. Egli è un grande anche fuori da Pirandello. Se ho fatto l’auspicio di poter vederlo impersonare il protagonista del Berretto a sonagli (egli mi dice di aver “fatto” solo Fifì e il Delegato Spanò), allo stesso modo vorrei che qualche teatro riallestisse Il malato immaginario con la sua regia, La governante di Brancati, e tanto altro.
NON NE ESISTONO nemmeno registrazioni; e di testimonianze come queste abbiamo bisogno, per memoria storica. Saranno manoscritti messi in una bottiglia, nella speranza che in un improbabile futuro qualcuno li legga.
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