Gian Marco Moratti, l’erede senza qualità del nostro capitalismo
Morto a 81 anni Era il primogenito di Angelo, l’uomo che costruì un impero dal nulla. E che i figli hanno gestito senza innovare
La specie umana l’ha imparato alcuni millenni fa che “de mortuis nihil nisi bonum”, cioè che dei morti bisogna solo parlare bene. E non c’è ragione di violare la regola aurea per Gian Marco Moratti, il petroliere milanese morto ieri a 81 anni, sul quale questo giornale è stato forse l'unico a scrivere ciò che era doveroso scrivere quando era vivo e talmente ricco e potente da risultare temibile. Alla leggendaria famiglia Moratti si applica del resto un’altra massima latina, “divitibus ac potentibus multi sunt amici”, che ben descrive l’inclinazione della stampa italiana a parlare solo bene dei ricchi per passare dal bene al benissimo in caso di morte. E così ieri abbiamo appreso addirittura che “dal padre aveva avuto lezioni di vita fin da giovanissimo”, un’ovvietà valida per chiunque non sia rimasto precocemente orfano. Ma anche che da una parte era “legatissimo ai figli” e dall'altra poteva andare orgoglioso “di non essere incluso nella categoria dei figli di, quella seconda generazione incapace di mantenere i risultati dei padri fondatori”.
QUESTE esagerazioni elegiache sono forse più di cattivo gusto e più irrispettose del defunto di qualche pacata verità utile a riconoscere a Moratti il posto che gli spetta - non di primissimo piano ma neppure irrilevante - nella storia del capitalismo italiano. A partire dal fatto che è stato esattamente un figlio di, il primogenito di Angelo Moratti, imprenditore di prima grandezza, coetaneo di Enrico Mattei e di Attilio Monti: quando Mattei ha costruito con l’Eni, l’impero petrolifero pubblico, i suoi amici Monti e Moratti lo hanno affiancato impiantando le grandi raffinerie private. Moratti padre era nato povero e ha costruito una ricchezza immensa grazie a una capacità imprenditoriale fuori del comune e a una personalità carismatica, interpretando abilmente il ruolo del petroliere privato nell’Italia della ricostruzione in tutte le sue declinazioni, non ultimo qualche rapporto opaco con la politica. Fu lui a costruire in Sardegna, nella piccola Sarroch alle porte di Cagliari, la più grande raffineria del Mediterraneo.
Angelo Moratti è morto nel 1981, quando Gian Marco aveva già 45 anni e l’altro figlio Massimo ne aveva 36. Con la raffineria i due fratelli hanno ereditato una fabbrica di denaro, prende il petrolio greggio e lo trasforma in carburante. Bisogna essere un po’ idioti per farla andare male ma non c'è bisogno di essere geni per farla andare bene. Come imprenditore Gian Marco Moratti lascia ai due figli maschi Angelo (nato dal primo matrimonio con la giornalista Lina Sotis) e Gabriele (frutto del secondo matrimonio con Letizia Brichetto, più nota con il cognome del marito) esattamente la stessa raffineria ereditata dal padre quasi quarant’anni fa. Si noti l’usanza dinastica di trasmettere l’azienda solo per linea maschile, escludendo le due figlie femmine Francesca e Gilda, così come il capostipite non volle nel business petrolifero le sorelle di Gian Marco e Massimo, Adriana, Maria Rosa detta Bedi e Gioia.
Rimane un mistero che cosa abbia fatto Gian Marco degli immensi capitali ereditati e accumulati dopo la morte del padre, come del resto è ignoto l’esatto ammontare delle sue ricchezze che qualcuno si spinge a considerare superiori a quelle di Silvio Berlusconi. Suo fratello ha notoriamente speso una cifra vicina al miliardo per finanziare l’Inter e inseguire il sogno, coronato da successo nel 2010, di riportarla quarant’anni dopo ai fasti della Grande Inter di Helenio Herrera e, appunto, del presidente Angelo Moratti. Di Gian Marco si sa che ha generosamente finanziato per decenni la Comunità di San Patrignano di Vincenzo Muccioli dove, racconta la leggenda autoriz- zata, passava quasi tutti i fine settimana con moglie e figli a dare una mano al recupero dei tossicodipendenti. Ma è difficile rintracciare nella sua biografia un contributo innovativo alla storia d el l’industria italiana. Contrariamente agli elogi di maniera, Gian Marco Moratti ha perfettamente rappresentato la figura dell’imprenditore di seconda generazione, e ha interpretato il ruolo in modo dignitoso, senza le pose sguaiate di certi nati ricchi, e anzi arricchendo con un generoso e silenzioso paternalismo la sua sostanziale posizione di percettore di rendita. Ciò ha contribuito a costruire una reputazione così positiva da cosentirgli di superare senza danni i momenti più difficili.
UNO IN PARTICOLARE va ricordato, la quotazione in Borsa della Saras nel 2006. Al culmine della bolla finanziaria lui e suo fratello sono riusciti a collocare il 40 per cento del capitale mettendosi in tasca 1,7 miliardi dei risparmiatori, ai quali le azioni Saras furono piazzate al prezzo stellare di 6 euro. Su come fu fissato quel prezzo è stata fatta anche un’inchiesta giudiziaria dalla quale sono emerse circostanze quantomeno sospette. È un fatto che le azioni Saras crol- larono già il primo giorno di contrattazioni e oggi valgono solo 1,8 euro.
Negli ultimi anni la funzione più nota alle cronache di Gian Marco Moratti è stata quella di principe consorte di sua moglie Letizia, prima presidente della Rai, poi ministro della Pubblica istruzione, poi sindaco di Milano e infine, oggi, presidente di Ubi Banca. Ma al fatto che il potente petroliere si limitasse a contribuire ai successi politico- imprenditoriali della moglie solo con il silenzioso consiglio dietro le quinte hanno sempre creduto in pochi.
Luci e ombre Grande sponsor di San Patrgnano Nel 2006 quotò la Saras a prezzi stellari: da allora il titolo è crollato