Il Fatto Quotidiano

Agenda fitta dopo le urne

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TRANNE PER UN PAIO DI CASI, Paolo Gentiloni sulle nomine non ha mai seguito le indicazion­i di Matteo Renzi. Vale citare un caso su tutti: la scelta di confermare Ignazio Visco a Bankitalia, fortemente osteggiato dal segretario del Pd.

Il 5 marzo, dopo i risultati elettorali e ancora prima delle consultazi­oni, Gentiloni saprà quanto ancora dovrà restare premier di transizion­i a Palazzo Chigi. Il 23 marzo, però, come da prassi, nel giorno dell’insediamen­to del nuovo Parlamento, il premier andrà al Quirinale a rassegnare le dimissioni. Non ci sono appuntamen­ti istituzion­ali in vista, se non un Consiglio europeo a marzo, mentre ci sono scadenze impellenti sulle nomine. La scorsa settimana, Palazzo Chigi ha tentato di affrontare subito il dossier servizi segreti con un intervento sul Dis (coordiname­nto), Aise (esteri) e Aisi (interni). Dopo il voto, comunque, se non dovesse emergere subito una maggioranz­a di governo dalle urne, Gentiloni potrebbe confermare di un altro anno il mandato all’Aise di Alberto Manenti, al Dis di Alessandro Pansa e forse cambiare all’Aisi, dove adesso c’è il prefetto Mario Parente. Tutte e tre i posti sono in scadenza ad aprile, come quello del capo della Polizia, Franco Gabrielli, destinato a essere confermato. Vanno rinnovati, poi, anche i vertici della Cassa depositi e prestiti, quelli della Sogei, della tv pubblica Rai, di Gse (settore dei servizi energetici) e di Invimit. Come scritto nel pezzo in pagina, Gentiloni ha affrontato la scorsa primavera la prima tornata di nomine: molta continuità, soprattutt­o in Enel e Eni, e un paio di nomine renziane. Quella di Del Fante in Poste mandando via Francesco Caio (detestato da Rernzi) e quella infelice di Alessandro Profumo in Finmeccani­ca. Poche settimane fa, blindato il vertice renziano delle Ferroviere dello Stato. anno, pende l’ipotesi di una manovra correttiva che potrebbe essere richiesta in primavera dalla Commission­e europea. L’estate scorsa, infatti, Padoan ha comunicato a Bruxelles che l’Italia avrebbe ridotto il deficit struttural­e (quello che sconta gli effetti del ciclo econ o m i c o ) r ispetto al Pil soltanto dello 0,3 per cento, invece che dello 0,8 concordato. Secondo i calcoli della Com missi one – che ha avallato lo sconto pur con qualche dubbio – la correzione reale però sarebbe soltanto dello

0,1, un terzo di quanto promesso nei documenti ufficiali. Difficile poter chiedere altra flessibili­tà nel 2018: l’Italia ha usato gli ultimi spazi disponibil­i per disattivar­e in deficit le clausole di salvaguard­ia ( eredità di Renzi): l’a umento dell’Iva nel 2018 da 15,7 miliardi è stato scongiurat­o in gran parte lasciando aumentare il deficit.

NOMINE

Non tanti renziani, l’errore Profumo e il blitz su Fs

Il governo Gentiloni si trova, a marzo 2017, a dover nominare i vertici di tutte le grandi aziende controllat­e dallo Stato. Le scelte del premier sono in parte in continuità con quelle di Renzi. All’Eni con- ferma Claudio Descalzi amministra­tore delegato, nonostante l’indagine per corruzione internazio­nale in Nigeria che di lì a poco si trasformer­à in imputazion­e (il processo comincia a Milano il giorno dopo le elezioni). Non una parola da Gentiloni sull’inchiesta. Allontana dalle Poste Francesco Caio, sgradito a Renzi, e prende da Terna un manager stimato dal segretario Pd, Matteo Del Fante. Caio, poi, lo recupera come consulente a palazzo Chigi. A Leonardo Gentiloni nomina un altro renziano delle origini, il banchiere Alessandro Profumo: lo scetticism­o che accoglie un manager finanziari­o alla guida di un colosso industrial­e complesso come l’ex-Finmeccani­ca verrà confermato dai risultati. Nell’ultimo anno il titolo è crollato del 28 per cento. Profumo arranca, già si parla di una sua imminente uscita, per traslocare alla Cassa depositi e prestiti. Il 30 dicembre scorso, a Camere già sciolte, Gentiloni avalla uno dei più spregiudic­ati blitz mai compiuti nel campo delle nomine pubbliche: con la scusa della fusione con Anas, l’azienda statale delle strade, viene convocata l’assemblea degli azionisti delle Ferrovie dello Stato. Il socio unico, cioè il ministero del Tesoro di Padoan, con cinque mesi d’anticipo sulla scadenza (aprile, cioè dopo le elezioni) conferma per un altro triennio la presidente Gioia Ghezzi, l’ad Renato Mazzoncini e tutto il cda pieno di renziani. Senza quel rinnovo, forse, il caos ferroviari­o seguito alla caduta di pochi centimetri di neve avrebbe potuto costare il posto all’ad Mazzoncini, se la decisione sul suo futuro si fosse presa alla scadenza naturale di aprile. Il governo Gentiloni rinuncia poi a

Gentiloni eredita alcuni dossier lasciati in sospeso da Renzi. Da premier nomina tre commissari per l’Alitalia, dopo il fallimento della gestione di Etihad (propiziata proprio da Renzi): si insediano a maggio 2017, non è ben chiaro se col compito di venderla o di rilanciarl­a. Quasi un anno dopo sono ancora lì, sugli acquirenti c’è grande incertezza ma intanto lo Stato ha messo nella ex compagnia di bandiera altri 900 milioni, un prestito che difficilme­nte sarà rimborsato. Delle grandi partite industrial­i - da Ilva a Telecom - Gentiloni non sembra interessar­si, lascia tutto al ministro dello Sviluppo Carlo Calenda. E non si occupa neppure di contestate decisioni del ministro dei Trasporti, Graziano Delrio: viene autorizzat­o un rincaro record dei pedaggi, 2,74 per cento a fronte di un’inflazione dello 0,5, in cambio di non si sa bene quali investimen­ti (in calo da anni) dei concession­ari. I benefici per le imprese private - Autostrade per l’Italia dei Benetton su tutte - valgono miliardi, il salasso per gli automobili­sti altrettant­o. Presidente del Consiglio dei ministri dal 12 dicembre 2016, Gentiloni è stato ministro delle comunicazi­oni nel governo Prodi II e ministro degli Affari esteri nel governo Renzi.

Nella sinistra estrema

Nel 1976 entra in contatto con il Movimento Studentesc­o di Mario Capanna e partecipa alla fondazione del Movimento Lavoratori per il Socialismo, gruppo maoista di cui è segretario regionale per il Lazio, fino alla unificazio­ne con il PdUP. Nella sinistra extraparla­mentare incontra gli ambientali­sti Ermete Realacci e Chicco Testa.

A fianco di Rutelli

Durante gli 8 anni di direzione del giornale La nuova ecologia Gentiloni si lega a Francesco Rutelli. Dopo l'elezione di Rutelli nel 1993 a sindaco di Roma, ne diventa portavoce. In seguito ricopre l'incarico di assessore al Giubileo e al Turismo. Nel 2001 viene eletto deputato con la Margherita.

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