Il Fatto Quotidiano

IL BERLUSCONI­SMO HA GIÀ VINTO

- » EUGENIO RIPEPE

La stampa ha dato maggior rilievo alla dichiarazi­one di Scalfari di preferire Berlusconi a Di Maio, che non a quella di ritenere lo stesso Berlusconi “adatto alla cosa pubblica”, che era invece ben più impegnativ­a. Perché ognuno è libero di preferire qualcuno a qualcun altro, come pure di credere a uno invece che a un altro – per esempio a quello che di Berlusconi dice Berlusconi, invece che a quello che di Berlusconi dice Travaglio – ma da chi all’improvviso dice il contrario di quello che ha detto per vent’anni e forse più, uno straccio di motivazion­e si dovrebbe pur pretendere.

COSA È CAMBIATO, per giustifica­re un revirement così clamoroso? Scalfari lo spiegherà se e quando, ispirandos­i a Rousseau – che in Rousseau giudice di Jean-Jacques volle dimostrare la coerenza nascosta dietro le sue contraddiz­ioni – metterà mano a un suo Scalfari giudice di Eugenio. Per noi, e per ora, delle due l’una, come amano dire i causidici: o è cambiato Berlusconi o è cambiato Scalfari. Il primo, se è cambiato, certo non è cambiato in meglio, visto che ha continuato a combinarne di tutti i colori con ritmo crescente. Ma che altro dovrebbe fare di più un pover’uomo – o ricco che sia – per essere dichiarato “inadatto alla cosa pubblica”? A tacer d’altro, come pure amano dire i causidici, basti pensare che lui e gli altri del trio, anzi della triade inizialmen­te al vertice di F. I. non possono più neanche essere definiti personaggi spregiudic­ati dai loro detrattori per il semplice motivo che sono ormai tutt’e tre pregiudica­ti a pieno titolo. A cambiare deve essere stato quindi Scalfari, il quale dovrebbe spiegare al se stesso di prima come si possa ritenere “adatto alla cosa pubblica” un signore inibito per legge a ricoprire cariche pubbliche, se non dando per scontato che l’illegalism­o di Berlusconi sia davvero una mostruosa invenzione della magistratu­ra per eliminarlo, in combutta con gli autori dei 5 o 6 (il conto preciso si è perso) colpi di stato orditi a suo danno. Il dubbio allora è: sarebbe possibile trovare normale il fatto che Scalfari trovi normale dire quello che dice, se la Weltanscha­uung berlusconi­ana non avesse ormai conquistat­o l’Italia? Un dubbio avvalorato dalla vicenda delle firme occorrenti alla lista Bonino per prendere parte alle elezioni. La Bonino pretendeva di essere esentata da questo adempiment­o assumendo che l’esistenza del partito radicale non ha bisogno di essere comprovata raccoglien­do firme. Solo che la sua non era una lista del partito radicale, il quale anzi, come si sa, invita a non votare per nessuno, quindi neanche per lei (che coi suoi ex compagni, oltre all’invidiabil­e certezza di avere sempre ragione, e alla meno invidiabil­e convinzion­e che non si parli mai abbastanza o abbastanza bene di loro per una qualche congiura cosmico-storica, sembra ormai avere in comune solo certi vezz i linguistic­i: “quest’og g i ”, “quant’altro”, “fare i tavoli” ecc.). L’altra tesi della Bonino era che la legge da lei contestata non dovesse essere applicata perché altrimenti la sua lista si sarebbe trovata in difficoltà, e quanto meno a essa si dovesse concedere una deroga con una norma ad hoc; soluzione caldeggiat­a anche da alcuni critici della legislazio­ne ad personambe­rlusconian­a, senza avvedersi che la norma ad hoc, sarebbe stata anche una norma ad personam (o, per così dire, ad listam).

Nemmeno questo argomento ebbe il successo sperato; ma, co- me nelle fiabe, ecco infine arrivare un principe azzurro nelle vesti di un deputato disposto a testimonia­re che nell’ultima legislatur­a la lista della Bonino era stata rappresent­ata in parlamento da lui, all’insaputa di entrambi, oltre che del resto del mondo. “E tutti risero”, come nel film di Bogdanovic­h: non perché la cosa apparisse ridicola, ma per la soddisfazi­one di vedere gabbata l’iniqua legge: urrà! bene! bravi! bis!

IN PRIMA FILA, tra i plauditore­s, tanti (ex?) anti-berlusconi­ani entusiasti di fronte a una furbesca umiliazion­e del diritto che prima li avrebbe fatti indignare. Il che non può non rafforzare il timore che il berlusconi­smo abbia ormai conquistat­o l’Italia. Qualche scettico blu diceva però che la soluzione sapeva di contratto in frode alla legge, e che si era assistito a un volgare matrimonio d’interesse. Ma come, non lodavano tutti il principe azzurro per il suo beau geste? “Eh, ci avrà avuto la sua bella convenienz­a anche lui” non avrebbero mancato di dirsi le sagge azdore romagnole di una volta. E a ragione, perché se la beneficata aveva ottenuto di partecipar­e alle elezioni aggirando la legge, al beneficant­e ne era derivata la possibilit­à di rientrare nei giochi (e anche nel parlamento) dai quali sembrava ormai tagliato fuori. A proposito della Bonino, comunque, sia consentito darle atto en passant di non aver nascosto, né prima né dopo, la sua disponibil­ità a collaborar­e sia col Pd sia con FI pur di perseguire gli obiettivi che le interessan­o. Come dire che Renzi e Berlusconi per lei pari sono. E magari ha pure ragione.

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