Il Fatto Quotidiano

Matteo, ovvero lo smemorato del Nazareno

- » SILVIA TRUZZI

La paura, si sa, tende a fare brutti scherzi. Senza dire che, caso mai uno fosse superstizi­oso, bisogna fare i conti pure con un’angosciant­e coincidenz­a di date (4 dicembre-4 marzo). Sarà per questo che il nostro coriaceo Matteo Renzi si mostra, in questi ultimi scampoli di campagna elettorale, assai confuso. Anzi, proprio smemorato.

LUNEDÌ MATTINA, d ur an te un’intervista a Sky, ha spiegato che anche in caso di sconfitta lui non farà passi indietro. E qui, si badi bene, per sconfitta non s’intende che i Cinque Stelle saranno il primo partito o il centrodest­ra la prima coalizione, ma che il Pd scenderà sotto la soglia di sopravvive­nza del segretario, che si è abbassata dal 25% di qualche tempo fa (la cosiddetta “soglia Bersani”) al più recente 20. Gli ultimi sondaggi davano il Pd al 22%: sono solo sondaggi, vero, ma del resto lo erano anche quelli che davano il No in netto vantaggio, nonostante la propaganda del Nazareno facesse trapelare notizie trionfali sul successo del Sì. Sorti personali a parte (saranno poi fatti del Partito democratic­o e dei suoi militanti), Renzi è tornato a parlare proprio del referendum: “Se il 5 marzo non ci sarà maggioranz­a è anche perché si è voluto dire di no a una riforma costituzio­nale che semplifica­va il sistema elettorale”. Oibò. E pensare che noi eravamo proprio convinti di aver votato contro l’abolizione del Senato eletto dai cittadini e lo stravolgim­ento di un terzo della Costituzio­ne, riscritta così male che manco il libretto d’istruzioni della lavatrice. In realtà Renzi stesso era convinto che il quesito riguardass­e, come in effetti era, la riforma costituzio­nale. Guardate cosa diceva il 9 giugno 2016, ancora premier, mentre si trovava al summit Nato di Varsavia: “Edi Rama, il premier albanese che ogni mattina legge tre giornali italiani, mi dice: dai Matteo e cambiala questa legge elettorale se vuoi vincere il referendum. Ho dovuto faticare non poco per fargli capire che il referendum non è sulla legge elettorale, è su altro, sulla riduzione del numero dei parlamenta­ri, sulla fine del bicamerali­smo, chi vota Sì è per cambiare le cose, chi vota No le lascia come sono oggi con il Parlamento più costoso e con le procedure più contorte fra tutti i Paesi Nato”. E aggiungeva: “Non essendo oggetto del referendum non capisco perché si colleghi la legge elettorale con il referendum”.

IN EFFETTI quella legge elettorale, l’Italicum, era stata approvata a colpi di fiducia nel 2015 con un’entrata in vigore differita a luglio 2016. Al di là di tutto, bisognereb­be dotare lo smemorato del Nazareno di qualche post-it: l’Italicum (disegnato con un premio di maggioranz­a che scattava al superament­o del 40%, cioè sulla base della vittoria del Pd alle Europee 2014) valeva comunque solo per la Camera. E in ogni caso la legge che “mezza Europa” ci avrebbe copiato (dichiarazi­oni di Renzi e Boschi, marzo 2015) è stata dichiarata incostituz­ionale dalla Consulta un anno fa, motivo per cui è stata partorita – in fretta e furia e sempre a colpi di fiducie parlamenta­ri – questa meraviglio­sa nuova legge detta Rosatellum con cui ci apprestiam­o a votare domenica. Ma, ancora prima di venire battezzata, già si parla apertament­e di cambiarla perché “produce ingovernab­ilità”. Addirittur­a si dice che potrebbe essere l’oggetto sociale di un eventuale governo di scopo: rifare la legge elettorale e poi tornare al volo alle urne. Domanda ai cosiddetti leader: ma voi, oltre a prenderci in giro con dichiarazi­oni che stravolgon­o la realtà dei fatti, esattament­e che lavoro fate?

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