Miliardi invisibili verso la Cina: così il money transfer sfugge al controllo
Fiumi di denaro che si spostano tra l’Italia e la Cina senza controllo. Decine di miliardi di euro che transitano attraverso money transfer difficili da monitorare perché protetti, almeno fino a pochi mesi fa, da norme che permettevano di eludere i controlli. Soldi spesso legati alle organizzazioni criminali cinesi, come quella che gestiva la logistica di merci contraffatte, bische, ristoranti, locali notturni e appunto money transfer scoperta a gennaio dalla Guardia di Finanza. Nel Milanese, invece, un sistema illegale di money transfer e istituti di pagamento tra il 2013 e il 2016 ha fatto transitare oltre due miliardi e mezzo di euro.
MILIARDI. Per capire anche solo in minima parte la portata basta guardare agli ultimi dati delle rimesse di denaro dall’Italia all’estero: nel 2016 quelle regolari sono state pari a 5,07 miliardi di euro. Si tratta di un numero in discesa: nel 2011 erano 7,4 mentre nel 2015 erano 5,2: oltre 2 miliardi in meno. Se si osserva la riduzione nel dettaglio, ci si accorge che dipende quasi esclusivamente da un ridimensionamento delle rimesse verso la Cina. Secondo le ultime rilevazioni dell’Uif, l'Unità di informazione finanziaria, sono scese dai 2,6 miliardi di euro del 2012 ai 557 del 2015 e infine ai 238 milioni nel 2016. In pratica, i trasferimenti ufficiali si sono ridotti a un quinto in quattro anni: sono scomparsi dai radar più di 2,3 miliardi di euro. “La riduzione registrata in questi ultimi anni e la sua velocità di realizzazione – aveva spiegato in un’audizione in commissione Finanze della Camera Claudio Clemente, direttore dell'Uif, – sono apparse anomale anche alla luce degli elementi disponibili e del confronto con l'Agenzia delle dogane e la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo”. In pratica, buona parte della differenza dipende dalla migrazione dei soldi verso cosiddetti “Istituti di pagamento comunitari”, ovvero money transfer con sede principale all’estero e succursali italiane che sfuggivano alla rilevazione statistica italiana perché per legge sottostavano alle regole del paese di origine. “E in linea generale - concludeva Clemente - è ipotizzabile una organizzazione estesa ed efficiente che cambia con rapidità operatori di riferimento a ogni avvisaglia di attenzione sulla loro attività”.
LA TRUFFA. A Milano, il nucleo speciale do Polizia Valutaria della Guardia di finanza ha scoperto una rete di decine di money transfer gestiti da cinesi che ha spostato in tre anni oltre 2,7 miliardi di euro. Raccoglievano i soldi nelle sedi italiane fingendo che fosse per conto di un istituto di pagamento inglese. Peccato che in Gran Bretagna non ci fosse segno della sua presenza e che la società italiana a cui veniva destinato il denaro non fosse stata segnalata alla Banca d'Italia. Da Milano, partivano decisioni e direttive, si movimentavano risorse e prestanome e si organizzava il trasferimento del denaro verso la Cina. “Hanno poi affinato il metodo con una sede secondaria di un istituto di pagamento comunitario e la costituzione di due istituti di pagamento nel Regno Unito - spiegano dal Valutario - al solo fine di acquisire la veste ‘comunitaria’ e quindi beneficiare di minore vigilanza”. Tutto collegato ad altre società italiane intestate a prestanome. I soldi, spiegano le forze dell’ordine, arrivavano da crimini di vario genere: dall'usura al nero, fino alle commissioni degli stessi money transfer. Tanto che, durante le indagini, una delle persone coinvolte si lamenta della percentuale troppo bassa di commissione sulle transazioni, pari al 2 per cento. “Stiamo lavorando per criminali - dice - e se devo lavorare per criminali preferisco farlo a Londra dove guadagno il 10 o il 15 %”.
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