Il Fatto Quotidiano

L’Eurexit (quasi) indenne a cui l’Italia può aspirare

- » VLADIMIRO GIACCHÈ

Nato a Bari nel 1966, si è laureato in Economia all’Università L. Bocconi dove ha conseguito un master in Economia internazio­nale

nostro paese il dibattito sull’euro e la crisi ha conosciuto varie fasi. In una prima fase ogni nesso tra moneta unica e crisi è stato sdegnosame­nte negato. Le rare voci che indicavano nell’euro uno dei fattori chiave sia dell’accumulars­i degli squilibri sfociati nella crisi, sia dell’estrema gravità del suo decorso per alcuni paesi tra cui il nostro (si pensi ad Alberto Bagnai), erano lasciate ai margini del dibattito pubblico e ignorate in sede accademica. Si alimentava­no per contro irrazional­i mitologie economiche, che addossavan­o la colpa della crisi alla rilassatez­za dei costumi economici dei paesi del Sud e all’entità di debito pubblico e corruzione.

SOLTANTO quando è apparso chiaro che la cura somministr­ata ai paesi in crisi era controprod­ucente (in Italia le politiche di austerity del governo Monti hanno accresciut­o il rapporto debito/Pil di oltre il 10%) hanno cominciato a farsi strada una valutazion­e della genesi della crisi che attribuiva il giusto peso allo squilibrio tra le bilance commercial­i (che in un regime di cambi flessibili non avrebbe potuto raggiunger­e tali dimensioni) e una riflession­e critica sull’impossibil­ità, per i governi dei paesi in crisi dell’eurozona, di attivare autonome politiche anti-cicliche. In entrambi i casi il ruolo della moneta unica era innegabile.

A questo punto siamo entrati nella seconda fase: si è cominciato ad ammettere che, sì, entrare nell’euro forse era stato un errore per l’Italia; salvo aggiungere subito, per chiudere il discorso: “Ormai non c’è niente da fare; uscire è impossibil­e e comunque sarebbe una catastrofe”.

Il libro di Giovanni Siciliano - che per lavoro occupa la delicata poltrona di responsabi­le della Divisione Studi della Consob - Vivere e morire di euro. Come uscirne ( quasi) indenni ( I m pr im atur) è importante perché ci aiuta a fare un passo avanti anche rispetto a questa seconda fase del dibattito. Lo fa affrontand­o in modo estre- mamente serio e documentat­o il tema del “come”, e non soltanto del “perché” uscire dall’euro.

Sul “perché ” l’autore è netto: “Il vantaggio di fondo di un’eventuale uscita dall’euro deriva non solo, e anzi non tanto, dall’effetto positivo della svalutazio­ne del cambio sulle nostre esportazio­ni, quanto dalla possibilit­à di affrontare un eventuale nuovo shock negativo avendo il pieno controllo della politica monetaria e della politica fiscale”; in caso contrario, l’unica arma rimarrebbe “la deflazione (riduzione di prezzi e salari) per stimolare la domanda estera e guadagnare competitiv­ità sui mercati internazio- ti): infatti l’adesione al MES riguarda i soli paesi dell’eurozona e quindi, all’a tto d e l l ’ u s c i t a d i u n paese dal l’euro, quelle clausole non sarebbero più vincolanti. Siciliano ritiene però necessario “un meccanismo di conversion­e basato su di un negoziato con gli investitor­i volto a concordare nuovi tassi di remunerazi­one dei titoli che devono essere compatibil­i con una conversion­e alla pari del valore nominale degli stessi”: di fatto, lo Stato italiano si impegnereb­be a pagare interessi più elevati sui titoli di Stato, così da compensare gli investitor­i della perdita derivante dalla conversion­e alla pari dei titoli in una va l u t a p i ù d e b o l e d e ll ’ euro. Questo impedirebb­e un d efau lt o una ristruttur­azione traumatica del debito. L’accordo dovrebbe esser chiuso ben prima della data del changeover, che andrebbe preparato anche con un pacchetto di misure legislativ­e.

È interessan­te notare come Siciliano reputi gestibile l’uscita pur muovendo da ipotesi estreme quali una svalutazio­ne del 30% e una forte recessione iniziale: anche così, l’aumento del debito pubblico del primo anno è ritenuto riassorbib­ile in tempi brevi grazie alla successiva ripresa economica e alla maggiore inflazione; a tale risultato contribuir­ebbe del resto la riconquist­ata libertà di attuare politiche monetarie anticiclic­he e di stabilizza­zione dei tassi d’interesse.

NEL TESTOsono esaminate in dettaglio le conseguenz­e dell’uscita dall’euro per banche, famiglie e imprese, su cui non possiamo qui soffermarc­i. Vale comunque la pena osservare che, anziché proporci gli scenari confusamen­te catastrofi­ci cari a certa pubblicist­ica, il libro di Siciliano ci prospetta problemi complessi, ma gestibili. Secondo l’autore l’uscita dall’euro è in definitiva “una mossa complicata e densa di rischi. Ma è il prezzo da pagare per riconquist­are libertà e autonomia di scelta e per riaccender­e la speranza di un vero rilancio della crescita e dell’occupazion­e”.

Chi è Carriera

Si è occupato per 30 anni di mercati e regolament­azione finanziari­a. Ha lavorato in Bankitalia e Consob, dove è oggi responsabi­le della Divisone studi Come muoversi

Il debito va riconverti­to a interessi maggiori per “sedare” i creditori: costi alti, ma gestibili

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