DI MAIO: ORIGINALE LO SPOT, QUALCHE DUBBIO SUI NOMI
Se in amore e in guerra tutto è consentito figuriamoci in campagna elettorale e, dunque, auguri a Luigi Di Maio.
Se in amore e in guerra tutto è consentito figuriamoci in campagna elettorale e, dunque, auguri a Luigi Di Maio e alla compagine, prematura, di governo cinquestelle, battezzata nello studio di DiMartedì nel solito disturbante (per chi ascolta) tripudio di applausi. Comunque, uno spot piuttosto originale, anche se definire gli strani ministri grillini nominati prima del 4 marzo “un patrimonio che consegniamo agli italiani” ci sembra un tantino eccessivo.
NOTEVOLE, invece, lo sconcerto degli addetti all’ermeneutica di palazzo impegnati a spezzare il capello in cinque, pandette alla mano: se cioè trattasi di iniziativa “inusuale” o“irrituale”, sostanza o accidente. Finché un esegeta particolarmente addentro alle cose del Quirinale, studioso dei cipigli presidenziali da Einaudi a giorni nostri, ha sentenziato che nel ricevere la lista dei ministri Sergio Mattarella non si era affatto adombrato, pur riservandosi di non sfiorare neppure la relativa mail considerata impura fino alla proclamazione degli eletti. Smentita l’esistenza di un golpe per posta elettronica, a noi ignari dei sacri misteri del Colle sia tuttavia consentito trarre dall’inusuale (o irrituale o inconsueta o inusitata fate voi) alzata d’ingegno pentastellata alcune considerazioni terra terra.
Primo. Dagli annunci fatti (in attesa che oggi venga presentata la lista completa) i ministri che Di Maio propone al capo dello Stato appaiono senza dubbio persone degne, non certo incompetenti nei rispettivi settori di appartenenza, nomi purtuttavia non di primissimo piano. Non è un mistero che non poche personalità contattate (per esempio, dell’economia e della cultura) hanno cortesemente declinato l’offerta. Chi, giustamente perplesso sulla possibilità che a Di Maio venga conferito l’incarico di governo (per non parlare della fiducia del Parlamento), considera la lista una sorta, sia pure sofisticata, di autoerotismo. Mentre altri più vicini alla sinistra temono, dopo il 4 marzo, una possibile contaminazione “populista” tra M5S e la Lega di Matteo Salvini, e vogliono prima vederci chiaro. Come dargli torto? In conclusione, se i pre-destinati dovevano servire a convincere gli indecisi che il MoVimento mette in campo la squadra più esperta e autorevole per guidare il Paese, l’obiettivo non può dirsi del tutto centrato.
Secondo. Sui cinquestelle partito di maggioranza relativa concordano tutti i sondaggi ante silenzio elettorale. Quindi, secondo una prassi consolidata, è al loro capo politico che il presidente della Repubblica potrebbe (dovrebbe) affidare l’incarico esplorativo per verificare se e in che misura esista la convergenza di altre forze sui punti qualificanti del programma movimentista. A quel punto una trattativa sarà inevitabile e finirà fatalmente per coinvolgere anche la composizione del governo. In quel caso, cosa faranno Di Maio e i suoi? Rinunceranno ad alcuni dicasteri chiave
(e agli inquilini già designati) in cambio di Palazzo Chigi? Oppure nella mistica pentastellata, espressioni come mediazione o compromesso (con i “vecchi partiti marci”) sono ancora la lingua del diavolo?
TERZO. Stando all’alfabeto muto del Quirinale, Mattarella ha ben presente l’importanza di un M5S che intende mantenersi ben dentro le regole e i percorsi “istitu- zionali”, seppur con certe innocue improvvisazioni. Mortificare queste aperture, invece che agevolarle, potrebbe restituire nuovo spazio al grillismo ribellista. Che oggi tace forse in attesa del fallimento della linea Di Maio. Disperdere le speranze nella democrazia rappresentativa di otto o nove o dieci milioni di cittadini, rafforzando così la destra razzista e antisistema non sarebbe un errore ma un crimine politico.
QUARTO. Ma se anche alla fine fossero costretti a restare sui banchi dell’opposizione comunque, i cinquestelle disporrebbero di un governo ombra pronto per l’uso. Come quello del Pci dell’89, guidato da Achille Occhetto, e di cui facevano parte personaggi come Giorgio Napolitano e Stefano Rodotà, oltre a intellettuali come Ettore Scola e Giulio Carlo Argan. O come, nel 2008, l’esecutivo ombra di Walter Veltroni, con Marco Minniti, Piero Fassino, Enrico Letta. Sarebbe un modo per farsi le ossa, in attesa del prossimo giro.
Certo, definire gli strani personaggi scelti dal leader grillino ‘un patrimonio degli italiani’ pare un tantino eccessivo Dopo molti rifiuti, questi nomi non certo di primo piano: se dovevano convincere gli indecisi, non ha funzionato Ma se il candidato M5S avrà l’incarico di fare il governo, agli alleati non darà neanche un posto da ministro?