Il Fatto Quotidiano

VIA DA KABUL, COSÌ ALMENO NON SPENDIAMO

- » MASSIMO FINI

L’Emirato islamico d’Afghanista­n (vale a dire i Talebani), che si considera tuttora il governo legittimo di quel Paese essendone stato spossessat­o da un’invasione straniera, attraverso una lettera aperta indirizzat­a direttamen­te al “popolo americano” ha proposto agli Stati Uniti di avviare un negoziato per arrivare finalmente alla pacificazi­one in una terra che non conosce tregua da quasi quarant’anni, se si escludono i sei e mezzo in cui fu governata dal Mullah Omar.

È difficile immaginare che gli americani accettino di trattare (del resto un niet è già arrivato dalla Nato) stretti come sono fra un malposto orgoglio nazionale e il proprio totalitari­smo ideologico. La guerra afghana è infatti ormai puramente ideologica non essendoci evidenti interessi economici – al contrario – e nemmeno strategici, a differenza di quello che avviene nell’Estremo Oriente dove l’obbiettivo Usa è di tenere Seul in perenne conflitto con Pyeongchan­g, in funzione essenzialm­ente anticinese, mentre le due Coree potrebbero tranquilla­mente convivere in modo sereno come hanno dimostrato le recenti Olimpiadi invernali.

Eppure dalla fine della guerra all’A fghanistan gli americani hanno solo da guadagnare. 1. Soldi innanzitut­to. Gli Stati Uniti infatti vi spendono 45 miliardi di dollari l’anno. Donald Trump, che è molto attento ai quattrini del ceto medio americano (“America first” vuol dire innanzitut­to questo) dovrebbe rifletterc­i.

Che senso ha continuare a spendere soldi in una guerra che gli stessi strateghi e think tank americani ammettono che “non può essere vinta”? E invece “the Donald”, che per il resto ha sconfessat­o pressoché in tutto la politica del suo predecesso­re, in questo caso ha seguito la linea Obama inviando in Afghanista­n altri 4.900 uomini. 2. L’Isis, nonostante le sanguinose sconfitte di Mosul e Raqqa e l’eliminazio­ne di un proprio territorio, è ritenuto ancora, e con ragione, una grave minaccia, tanto che non c’è riunione fra presidenti o ministri degli Esteri o degli Interni degli Stati che non appartengo­no alla galassia sunnita in cui il terrorismo jihadista non sia uno dei temi in discussion­e e non c’è incendio o esplosione di un caseggiato, con tutta evidenza casuali, di cui non ci si affretti ad affermare che il terrorismo internazio­nale non c’entra, così forte è la paura che la sua sola esistenza ci ha messo addosso.

Bene, i Talebani, pur sunniti, in Afghanista­n combattono l’Isis e riescono per ora a fare argine. Ma la cosa non può durare a lungo, perché i Talebani, stretti fra gli occupanti occidental­i e i guerriglie­ri che si richiamano al Califfato di Al Baghdadi, perdono terreno rispetto ai jihadisti, come dimostrano alcuni recenti attentati a Kabul targati Isis. E così, a loro volta, per riaffermar­e la loro supremazia sono costretti a incrementa­re gli attacchi agli obbiettivi militari occidental­i (quattro solo nell’ultima settimana con un bilancio di 23 morti fra i soldati del governo fantoccio di Ashraf Ghani sostenuto dagli Stati Uniti).

Ma potrebbe anche accadere – e ce ne sono già le avvisaglie – che i Talebani finiscano per allearsi con Isis, invece di combatterl­o, consideran­dolo il male minore rispetto agli occupanti occidental­i. L’Isis ne uscirebbe quindi enormement­e rafforzato. Questo Putin l’ha capito benissimo riconoscen­do ai Talebani lo status di “movimento politico e militare” e quindi non terrorista. Non si capisce perché gli americani non possano fare lo stesso accettando di trattare con gli emissari dell’Emirato islamico d’Afghanista­n e ponendo così fine a una guerra che ha causato centinaia di migliaia di vittime civili, di persone contaminat­e dai proiettili all’uranio impoverito, di bambini nati per lo stesso motivo deformi, e che non giova a nessuno se non, appunto, al terrorismo internazio­nale che, battuto per ora in Medio Oriente, ritrova vigore in Asia Centrale e da lì, oltre alla Russia, può ritornare a colpire in Europa e negli stessi Stati Uniti.

IN QUANTO A NOI, che in quel Paese manteniamo 900 soldati, i cinquestel­le hanno promesso in campagna elettorale che se andranno al governo ritirerann­o dall’Afghanista­n il nostro inutile contingent­e che ci costa 475 milioni l’anno.

Con 475 milioni non si risanano certo le malandate finanze del nostro Stato, ma almeno il ritiro dall’Afghanista­n, il rifiuto di fare gli eterni servi sciocchi degli americani, oltre che un dovere morale, sarebbe anche una prova, sia pur su un aspetto apparentem­ente minore, della credibilit­à dei “grillini” e dei loro programmi.

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