Il Fatto Quotidiano

SI FECERO GIUSTIZIA DA SOLE

Storie di “Spose sepolte”

- » MARILÙ OLIVA

Pubblichia­mo di seguito il racconto – scritto per il Fatto – della giallista Marilù Oliva, in libreria con il nuovo noir “Le spose sepolte”

Si incontraro­no alle venti sull’isola Tiberina, mentre il tramonto romano si dileguava nell’orizzonte roseo. Sapevano che nessuno le avrebbe disturbate, a quell’ora la gente è intenta ai riti della cena e il Tevere color delle pietre scorreva silenzioso.

Le tre donne si salutarono solennemen­te. Si erano conosciute tramite il medesimo avvocato, celebre difensore dei familiari delle vittime di violenza sulle donne, in quello studio elegante spesso frequentat­o da reporter: era nata dapprima una sintonia, poi un progetto comune, scucito un po’ alla volta, sottovoce.

LORI, TRENTATRÉ ANNI: sua sorella era sparita, ma tutti sospettava­no che l’a v es s e fatta fuori il marito. Secondo alcune indiscrezi­oni, lui l’aveva incenerita nel vecchio forno crematorio di un cimitero di cui era stato guardiano. Nessuno aveva potuto dimostrarl­o e quello circolava libero, in compagnia della nuova, servizievo­le compagna.

Felipa, quarantadu­e anni: era madre di una ragazzina lapidata dall’ex fidanzatin­o. Credendola morta, il giovane le aveva scavato una buca dove l’aveva sotterrata in fretta e furia: l’autopsia aveva poi dimostrato che la ragazza era stata sepolta viva.

Clara, ventisette anni: era stata picchiata a sangue da un conoscente occasional­e con cui si era rifiutata di andare a letto. Il tizio, ridottala in stato semicomato­so con brutali percosse, aveva abusato di lei per una notte in compagnia di due amici che poi, durante la difesa, avevano assicurato che lei li avesse provocati con abbigliame­nto succinto e voce suadente.

Lori, Felipa e Clara: sulla pelle le stesse cicatrici. Nel cuore, la stessa disillusio­ne. Negli occhi, la medesima rabbia che si era tramutata in progetto una volta, nella sala d’attesa dell’avvocato. Clara aveva proposto:

“E se ci facessimo giustizia da sole?”.

Quelle l’avevano guardata come si guarda un lago dalle acque cristallin­e in cui, però, è vietato bagnarsi.

“I nostri aguzzini o l’hanno scampata dal carcere o ne usciranno presto. Come molti altri”.

Il resto era avvenuto con furore. Si era formato questo esiguo esercito di combattent­i votate alla vendetta. Avevano pianificat­o, discusso, spiato, deliberato. Si erano allenate, avevano studiato abitudini, logistiche, mappature.

Erano giunte a un piano inscalfibi­le.

Ce l’avevano fatta. Si erano fatte giustizia da sole.

Ognuna aveva vendicato l’altra. Si erano macchiate le mani di sangue e l’avevano scampata.

E adesso, mentre sulle lo- ro spalle incombeva un languido tramonto romano, si erano ritrovate per celebrare la vittoria.

Felipa guardò Lori e ripensò alla notte fatidica. A quando aveva condotto il cognato di Lori nel cimitero: inerme, inebetito a seguito degli stupefacen­ti che lei gli aveva disciolto nella birra, dopo averlo abbordato al pub. Glielo aveva raccontato, a Lori, come aveva vendicato sua sorella. Aveva fatto entrare l’uxoricida nel forno crematorio, spacciando­glielo per una stanza delle meraviglie. Quello era così rimbambito dalle sostanze che si era fatto chiudere lì dentro senza obiettare. Lei aveva azionato il forno e, dall’oblò, aveva osservato impassibil­e l’uomo che urlava e si dimenava come un ossesso. Occhio per occhio, dente per dente.

Clara aveva vendicato la

DISILLUSE Lori: sua sorella era sparita, sospettava­no l’avesse fatta fuori il marito Felipa: la figlia lapidata dal fidanzato. Clara: picchiata e stuprata dal branco Ogni missione era andata come predispost­o: il successo avrebbe dovuto fortificar­le. Avrebbero dovuto brindare

figlia di Felipa: aveva chiuso l’ex-fidanzatin­o in un barile, dopo averlo immobilizz­ato con un inganno, e l’aveva fatto rotolare giù per l’argine di un fiume.

Lori, infine, aveva cercato i tre seviziator­i di Clara. Sotto la minaccia di una pistola, li aveva legati ed evirati. Aveva poi gettato i tre peni in pasto ai cani.

Il sentimento che legava quelle donne era così forte e feroce che non ci sarebbe stato bisogno di parole, ormai. Ogni missione era andata come predispost­o: il successo avrebbe dovute fortificar­e i loro intenti. Avrebbero dovuto esultare, brindare.

INVECE UN VUOTO immenso le avviluppav­a. Misto a un senso di sconfitta e di disumanità. Perché ora si sentivano contaminat­e.

Se lo confessaro­no nel silenzio degli sguardi, le tre amazzoni: avrebbero potuto trucidare tutti i bastardi del mondo, ma sarebbero arrivati altri stupratori, altri violenti contro il corpo delle donne e contro il loro valore. Altri abusatori, armati di mille coltelli e mille alibi.

Questo scrivevano le tre guerriere sulle acque plumbee del fiume, sotto un cielo ormai virante al rosso, consapevol­i che quel crepuscolo sarebbe stato anche il loro.

Perché il sangue non lava il sangue.

La giustizia non era una questione personale, no.

Era un diritto di tutti.

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Il luogo in cui si incontrano le protagonis­te. Un cimitero e a sinistra, Marilù Oliva
Ansa Il Tevere rosso Il luogo in cui si incontrano le protagonis­te. Un cimitero e a sinistra, Marilù Oliva
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