Il Fatto Quotidiano

“Agente provocator­e utile contro le mazzette”

L’ex magistrato dopo il caso “Fanpage ”: “Anche per l’Onu è indispensa­bile”

- » ANTONELLA MASCALI

Gianrico

Carofiglio è stato fino a pochi anni fa un pm antimafia e anticorruz­ione, il 7 marzo esce per il gruppo Abele Con i piedi nel fango, conversazi­oni su politica e verità; un suo romanzo del 2011, Il silenzio dell’onda ha come protagonis­ta un agente sotto copertura, molto d’attualità: la scelta di Fanpage di utilizzare un’esca per un’inchiesta giornalist­ica sulla corruzione, infatti, ha provocato un dibattito proprio sull’uso del cosiddetto “agente provocator­e”. Carofiglio, cosa ne pensa del possibile utilizzo?

Ho molte perplessit­à di ordine deontologi­co sull’iniziativa di Fanpage. Sono invece del tutto favorevole all’introduzio­ne nel nostro ordinament­o di operazioni sotto copertura per combattere la corruzione.

All’interno della magistra- tura ci sono posizioni contrastan­ti: chi parla di strumento fondamenta­le, chi di istigazion­e a delinquere... È legittimo avere opinioni diverse, ma è bene chiarire che nel nostro ordinament­o le operazioni sotto copertura esistono già per il contrasto di diversi reati (criminalit­à organizzat­a, traffico di armi e droga, pedopornog­rafia) e nessuno ha niente da obiettare. La figura dell’agente sotto copertura non è prevista per il reato che più di tutti la richiedere­bbe, cioè appunto la corruzione.

Perché è così importante? La corruzione è, quasi sempre, un reato senza testimoni. Quando il fatto viene commesso, quando i soldi cambiano mano o viene fatta la promessa corruttiva, sono presenti solo il corrotto e il corruttore ma nessuno dei due ha alcun interesse a raccontare l’accaduto agli investigat­ori. Questo, anche perché manca ogni norma per incentivar­e la collaboraz­ione con la giustizia, come nelle indagini per mafia. Quando le denunce arrivano sono inevitabil­mente imprecise o congettura­li e richiedono l’avvio di lunghi e faticosi accertamen­ti. Fra questi le intercetta­zioni, che possono costare fra i 500 e i 1.000 euro al giorno. A fronte delle enormi spese di queste indagini, il numero di persone per le quali si arriva a una sentenza di condanna definitiva (causapr es cri zio ne, ndr) è sempliceme­nte ridicolo e l’effetto dissuasivo è praticamen­te nullo. La capacità che ha una pena di prevenire non è legata alla sua eventuale durezza ma all’elevata probabilit­à e rapidità della sua applicazio­ne.

Chi è favorevole cita la convenzion­e Onu di Merida contro la corruzione, ratificata dall’Italia e mai applicata; chi è contrario ricorda le condanne della Cedu contro Paesi che hanno usato l’agente provocator­e. Come stanno le cose?

Dipende dal tipo di disciplina. Si tratta di uno strumento molto delicato che presenta il rischio di usi impropri e a quelli si riferiscon­o le condanne della Corte, ma al tempo stesso, come dice appunto la Convenzion­e dell’Onu, è indispensa­bile per il contra- sto efficace di certi reati. Per ridurre il rischio di abusi e per superare le legittime perplessit­à di chi è contrario è bene fissare alcuni concetti. Le operazioni sotto copertura devono essere ammesse solo in presenza di concreti indizi di colpevolez­za e non in base al mero sospetto. Ogni singolo passaggio di queste operazioni va ricondotto al diretto controllo dell’autorità giudiziari­a. È necessario prevedere una documentaz­ione integrale di tutte le attività e anche limiti alla possibilit­à di arresto in flagranza da parte della polizia giudiziari­a: solo il magistrato deve valutare se sussistano gli elementi e se tutte le procedure siano state correttame­nte seguite. Su queste basi credo che sia possibile dotarci di uno strumento che potrebbe trasformar­e la lotta giudiziari­a alla corruzione nel nostro Paese.

La corruzione è un reato senza testimoni: sono presenti solo il corrotto e il corruttore È difficile incastrarl­i

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Ansa Ex toga e scrittore Uno dei libri di Gianrico Carofiglio racconta di un agente sotto copertura
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