“Agente provocatore utile contro le mazzette”
L’ex magistrato dopo il caso “Fanpage ”: “Anche per l’Onu è indispensabile”
Gianrico
Carofiglio è stato fino a pochi anni fa un pm antimafia e anticorruzione, il 7 marzo esce per il gruppo Abele Con i piedi nel fango, conversazioni su politica e verità; un suo romanzo del 2011, Il silenzio dell’onda ha come protagonista un agente sotto copertura, molto d’attualità: la scelta di Fanpage di utilizzare un’esca per un’inchiesta giornalistica sulla corruzione, infatti, ha provocato un dibattito proprio sull’uso del cosiddetto “agente provocatore”. Carofiglio, cosa ne pensa del possibile utilizzo?
Ho molte perplessità di ordine deontologico sull’iniziativa di Fanpage. Sono invece del tutto favorevole all’introduzione nel nostro ordinamento di operazioni sotto copertura per combattere la corruzione.
All’interno della magistra- tura ci sono posizioni contrastanti: chi parla di strumento fondamentale, chi di istigazione a delinquere... È legittimo avere opinioni diverse, ma è bene chiarire che nel nostro ordinamento le operazioni sotto copertura esistono già per il contrasto di diversi reati (criminalità organizzata, traffico di armi e droga, pedopornografia) e nessuno ha niente da obiettare. La figura dell’agente sotto copertura non è prevista per il reato che più di tutti la richiederebbe, cioè appunto la corruzione.
Perché è così importante? La corruzione è, quasi sempre, un reato senza testimoni. Quando il fatto viene commesso, quando i soldi cambiano mano o viene fatta la promessa corruttiva, sono presenti solo il corrotto e il corruttore ma nessuno dei due ha alcun interesse a raccontare l’accaduto agli investigatori. Questo, anche perché manca ogni norma per incentivare la collaborazione con la giustizia, come nelle indagini per mafia. Quando le denunce arrivano sono inevitabilmente imprecise o congetturali e richiedono l’avvio di lunghi e faticosi accertamenti. Fra questi le intercettazioni, che possono costare fra i 500 e i 1.000 euro al giorno. A fronte delle enormi spese di queste indagini, il numero di persone per le quali si arriva a una sentenza di condanna definitiva (causapr es cri zio ne, ndr) è semplicemente ridicolo e l’effetto dissuasivo è praticamente nullo. La capacità che ha una pena di prevenire non è legata alla sua eventuale durezza ma all’elevata probabilità e rapidità della sua applicazione.
Chi è favorevole cita la convenzione Onu di Merida contro la corruzione, ratificata dall’Italia e mai applicata; chi è contrario ricorda le condanne della Cedu contro Paesi che hanno usato l’agente provocatore. Come stanno le cose?
Dipende dal tipo di disciplina. Si tratta di uno strumento molto delicato che presenta il rischio di usi impropri e a quelli si riferiscono le condanne della Corte, ma al tempo stesso, come dice appunto la Convenzione dell’Onu, è indispensabile per il contra- sto efficace di certi reati. Per ridurre il rischio di abusi e per superare le legittime perplessità di chi è contrario è bene fissare alcuni concetti. Le operazioni sotto copertura devono essere ammesse solo in presenza di concreti indizi di colpevolezza e non in base al mero sospetto. Ogni singolo passaggio di queste operazioni va ricondotto al diretto controllo dell’autorità giudiziaria. È necessario prevedere una documentazione integrale di tutte le attività e anche limiti alla possibilità di arresto in flagranza da parte della polizia giudiziaria: solo il magistrato deve valutare se sussistano gli elementi e se tutte le procedure siano state correttamente seguite. Su queste basi credo che sia possibile dotarci di uno strumento che potrebbe trasformare la lotta giudiziaria alla corruzione nel nostro Paese.
La corruzione è un reato senza testimoni: sono presenti solo il corrotto e il corruttore È difficile incastrarli