Il Fatto Quotidiano

Retata di italiani Fico, solo una pezza all’omicidio Kuciak

Conquiste mafiose Sette arresti legati all’inchiesta del cronista ucciso I business della ’ndrangheta, export in ascesa nel blocco dell’Est Europa

- » LEONARDO COEN

La chiamano “la pista italiana”. Una pista comoda, che esclude così responsabi­lità letali per il governo del leader populista Robert Fico, già in fortissimo imbarazzo: nell’ultimo articolo di Jan Kuciak, il reporter ucciso, si accusa senza mezzi termini lo staff del premier, tanto che Maria Trotskova, l’avvenente consiglier­e capo del suo ufficio, e il segretario della Sicurezza, Vilem Jasan, si sono dovuti dimettere mercoledì 28 febbraio. Per stornare sospetti ulteriori, ecco ieri la grande svolta nelle indagini: un blitz a Mikhalovce e Trebisov, due cittadine dell’est slovacco, dove sono stati arrestati sette italiani tutti sospettati d’avere legami con la ‘ n d ra ngheta. A cominciare dall’indiziato numero uno. Al secolo, l’imprendito­re Antonino Vadalà, preso assieme al fratello Bruno ea Sebastiano Vadalà, al cugino Pietro Catroppa (56 anni), all’omonimo Pietro Catroppa (26 anni), a Diego e Antonio Roda. Gli inquirenti pensano di riuscire così ad identifica­re il mandante del duplice omicidio.

IL TEOREMAdeg­li inquirenti slovacchi è semplice: Kuciak, secondo i colleghi e la polizia, sarebbe stato ucciso per i suoi articoli che erano centrati sugli affari segreti di politici e mafiosi. In Slovacchia, mai un giornalist­a investigat­ivo era stato ammazzato, ripetono polizia e primo ministro. Perciò, è nella direzio- ne mafiosa che vanno stanati i colpevoli.

Ma Jan aveva ficcato il naso in quella zona grigia del potere, dove collusione, corruzione e affari s’intreccian­o in modo pervasivo con amministra­tori e politici locali. È il modello della cosiddetta ‘ndrangheta export, sorta di colonizzaz­ione morbida adottato, con successo, dalla mafia calabrese nel nord italiano, in Svizzera, in Germania, in Spagna. Negli ultimi anni, l’attenzione della ‘ ndrangheta si è rivolta all’Est Europa post comunista, dove gli strumenti legislativ­i antimafia sono minimi. Riciclaggi­o di denaro (droga, armi), reinvestim­enti legali in imprese, azien- de agricole, import-export, settore immobiliar­e. Dapprima in Bulgaria e in Romania, poi nei Paesi del Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), assai critici con l’Unione Europea di cui fanno parte e dalla quale, però, chiedono ed ottengono miliardi di euro sotto forma di fondi struttural­i. Ed è qui che interviene la ‘ndrangheta: si propone, con la complicità dei politici corrotti, come gestore di quei fondi, assicurand­o introiti a chi glielo permette. I soldi puliti europei “lavano” quelli sporchi della ‘ndrangheta (uno dei sette arrestati possiede uffici a Praga, in Na Prikope, una delle vie più prestigios­e, lo segnala il giornale Mlada fronta Dnes).

LA COSA STRANA è che Vadalà non se l’è filata appena è saltato fuori il suo nome, e cioè lunedì scorso: i media slovacchi hanno infatti cominciato a pubblicare stralci della sua inchiesta sulle frodi fiscali e i raggiri dei fondi Ue in cui erano svelati i suoi legami con il mondo politico slovacco.

Quando in Italia venne accusato di aver favorito la latitanza di un pericoloso boss - Domenico “M ic o” Ventura, ricercato per omicidio - lui prese il volo, si fiondò in Slovacchia. Era il 2003: sul suo capo pendeva una condanna di un anno e sei mesi. Oggi, rischia assai di più. O forse no: difficilme­nte la ‘ndrangheta export si espone con un delitto così clamoroso come quello di un giornalist­a (semmai, i conti si regolano fra clan rivali, vedi la strage di Duisburg).

Questo spieghereb­be perché Vadalà e gli altri calabresi non siano scappati. Tempo fa, la Procura antimafia calabrese aveva segnalato alle autorità di Bratislava che nel territorio del loro paese vivevano persone legate alla ‘ndrangheta, tra le quali appunto Vadalà. Nonostante l’allerta italiana, nessuno intervenne. Protezioni altolocate, certamente. Di qualcuno che adesso trema.

Il mistero

Del sospettato numero 1 i giornali avevano iniziato a parlare lunedì: ma lui non è scappato

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