Gentiloni, la mancia elettorale agli statali col cedolino ad hoc
Subito prima del voto l’aumento del nuovo contratto e arretrati
■ 250 mila dipendenti dei ministeri e delle amministrazioni centrali hanno ricevuto circa 300 euro complessivi giusto tre giorni prima delle elezioni, con una apposita busta paga, come effetto dell’ultima legge di Stabilità. I settori di sanità e scuola devono aspettare un mese
Il governo Gentiloni ci è riuscito, seppure sul filo di lana. Sono stati finalmente accreditati sui conti correnti dei 250 mila dipendenti delle funzioni centrali dello Stato gli arretrati per il 2016, il 2017 e due mesi del 2018 degli aumenti ottenuti con il nuovo contratto di lavoro. Erano stati promessi con la busta paga di febbraio, ma l’importante è che siano arrivati in tempo per far provare ai 2 milioni e 700 mila dipendenti pubblici e alle loro famiglie il morso della riconoscenza verso il Pd, anche se solo tre giorni prima delle elezioni. Per pagare questi soldi fuori dalla busta paga ordinaria – che avrebbe avuto il grosso difetto di arrivare a urne chiuse – la Pubblica amministrazione ha dovuto emettere un “cedolino speciale”. Ma per allungare l’effetto sorpresa sui magri salari dei ministeriali, la somma da incassare era già visibile online dal 27 febbraio.
MANCANO ancora all’appello i comparti della Sanità, della Scuola, degli Enti locali e i dipendenti della Presidenza del Consiglio: i confederali hanno raggiunto un’intesa con il governo ma formalmente non è stato ancora firmato il contratto. Per loro probabilmente gli arretrati arriveranno tra un mese.
La legge di Stabilità ha stanziato per il rinnovo contrattuale degli statali 300 milioni di euro per il 2016, 900 per il 2017 e 2,85 miliardi per il 2018. Se si prende come riferimento lo stipendio medio, intorno ai 30 mila euro, i fondi messi a disposizione corrispondono ad aumenti dello 0,36% per il 2016, 1,09% nel 2017 e 3,48% nel 2018, al lordo della trattenuta statale, tassazione Irpef e dei contributi. In media gli ar- retrati ammontano a poco più di 600 euro, che scendono a circa 430 euro al netto della quota decurtata dallo Stato-padrone. Se si sottraggono ancora le trattenute Irpef, nelle tasche degli statali dovrebbero rimanere 250 euro di arretrati e 49 di aumento mensile. “Noi l’abbiamo ribattezzato il contratto della vergo- gna, il paradosso è che sarebbe stato più conveniente non firmarlo”, dice al Fatto Marcello Pacifico, segretario confederale della Cisal e presidente dell’Anief, il sindacato della scuola.
I conti sono presto fatti. Insieme al blocco del contratto per dieci anni, spiega Pacifico, è stata congelata dal 2010 al 2015 – con un provvedimento del ministro dell’Economia del governo Berlusconi Giulio Tremonti poi confermato dai governi Letta e Renzi – anche “l’indennità di vacanza contrattuale”, che deve essere e- rogata per legge al dipendente come acconto in attesa del rinnovo contrattuale e che è pari al 50% dell’inflazione programmata. “Se avessimo recuperato con il contratto l’intera inflazione programmata perduta tra il 2008 e il 2017 gli stipendi degli statali avrebbero dovuto essere rivalutati del 9,32%, al quale andrebbe ag- giunto l’1,7% del 2018, altro che il 3,48% concordato tra governo e sindacati – argomenta Pacifico –. Se ce ne avessero dato anche solo la metà, applicando semplicemente l’indennità di vacanza contrattuale, ci avremmo comunque guadagnato”.
IL COMPARTOprivato è riuscito a spuntare in questi anni rivalutazioni che superano il 20%. Tuttavia i contratti della Pa che si stanno firmando in questi giorni sembrano la prova generale della nuova contrattazione depotenziata delineata in un accordo sottoscritto l’altro ieri tra una Confindustria e un sindacato confederale entrambi in crisi profonda di rappresentatività. I capisaldi sono: rappresentanza riconosciute per legge, salario minimo collettivo deflazionato al massimo e contrattazione decentrata dove si fa avanti il cosiddetto “welfare aziendale”. Si tratta di un modo esentasse per governare una parte sempre più consistente delle retribuzioni dei dipendenti, obbligandoli a consumare prodotti e servizi al prezzo stabilito dalle piattaforme e-commercescelte dalle aziende. Una torta che vale già oggi 21 miliardi di euro.
Magri aumenti In media rimarranno in tasca dei dipendenti 250 euro di arretrati e 49 euro mensili